mercoledì 30 settembre 2009

Sviluppare il desiderio sessuale


Bene uomini (che leggete il blog e non vi pronunciate!) e bene donne (che siete sempre più attente a capire o svelare il vostro mondo interiore) … direi che a questo punto è indispensabile porvi una domanda: ma per gli uomini, che cos’è il desiderio sessuale? E per le donne?

Come potevate immaginare questa domanda l’ho bella che posta in diverse circostanze e vi riporto le risposte che mi sono segnato:

pensieri erotici
voglie trasgressive
stimoli sensuali
sogni proibiti
fantasie ludico-provocatorie
scene esplicitamente sessuali
contatti fisici particolari
immagini emotivamente cariche ed intense

Tu quale indicheresti come risposta esatta?

Il termine “desiderio” evoca concetti più o meno vicini a questi. In realtà sono molte le imprecisioni che distorcono, nella nostra mente, il concetto di “desiderio sessuale”.

Il desiderio sessuale è un aspetto fondante della sessualità umana e riguarda l’insieme di tutte le “produzioni a sfondo erotico” di un individuo, sul piano immaginativo, ideativo ed emotivo.

Tra le righe dei commenti all’articolo precedente ci sono una miriade di spunti su come sostenere il desiderio sessuale, proprio e del partner: per esempio, Valentina parla dei limiti che uomini e donne possono avere nell’ “ascoltare il proprio corpo e nel comunicare col proprio partner” i propri vissuti più profondi. Da parte sua Marika descrive i dubbi dell’ “insicurezza” e gli effetti della gelosia, anche quando c’è piacere nell’intimità. Raus elenca altri fattori demotivanti, “condizionamenti”, “stress” e “stanchezza”. Tutti questi problemi possono disturbare la sintonia di una occasionale avventura sessuale o appiattire la complicità di una coppia affiatata! Se però si proiettano in positivo diventano una ottima chiave per stimolare il desiderio!

Per sviluppare il desiderio sessuale, proprio e del/la proprio/a partner, occorre capire come è fatto e come funziona!

Il desiderio sessuale comprende tre dimensioni fondamentali – biologica, psicologica e comportamentale – che, nell’esperienza concreta, comportano:

l’emergere spontaneo di ricordi, pensieri e fantasie consapevoli che attivano l’appetito sessuale;

la modificazione di aspetti fisiologici che anticipano l’eccitamento fisico;

la voglia di evitare o di mettere in pratica una specifica azione sessuale.

Questi passaggi possono essere bloccati ed il lavoro sessuologico consiste proprio nel comprendere a che livello ci si inibisce e come si deve intervenire per riattivarne il flusso più spontaneo!

Certo, vi una certa differenza quando si è single e quando ci si rapporta ad un partner fisso e, soprattutto, se si è uomini o donne e se si ha a che fare con partner dello stesso sesso o del sesso opposto. Infatti, vi sono specifiche differenze di genere (tra maschio e femmina) ed individuali (da persona a persona) nel modo in cui può diminuire e può aumentare il proprio e l'altrui desiderio sessuale: essere a conoscenza dei tempi, dei modi e delle differenze in cui questo avviene è fondamentale!

Intanto incominciamo da questa metafora: il desiderio sessuale è un cilindro magico, che cela e contiene, svela e materializza le parti più profonde della nostra identità sessuale!


Cosa tieni nascosto nel tuo?

Cosa ti piacerebbe tirar fuori invece?

martedì 11 agosto 2009

Calo del desiderio


È estate e fa caldo … e, per chi non ne fosse pienamente consapevole, siamo continuamente “raggiunti” da stimoli implicitamente erotici o francamente sessuali!

Ma quale effetto credi abbia su di te il “bombardamento sessuale” in cui siamo immersi?

E, in particolare, come “reagisce” sul tuo desiderio sessuale?


Come spesso accade, molte questioni e domande mi vengono poste tramite mail private piuttosto che pubblicate sul blog. Visti gli ultimi trend desidero dare qualche input sul “calo del desiderio”, tema che interessa per la maggioranza le donne, ma anche molti uomini.

Il desiderio sessuale è collegato sia a fattori ambientali, sia a variabili interne alla persona. Se dovesse capitare un periodo di “calo” è importante capire se il fenomeno è rilevante e ricorrente e, in tal caso, quali sono le possibile cause.

Nelle prime battute è importante capire se ci si sente iperstimolati o ipostimolati. Di conseguenza riflettere sulle stimolazioni che si ricevono dall’esterno, ossia se sono soggettivamente adeguate, intense e significative.

Chi si interroga su questo argomento deve sapere che quando il desiderio sessuale è percepito chiaramente e vissuto positivamente sostiene in modo efficace la propria capacità di risposta sessuale.

In generale un “buon desiderio sessuale” è direttamente correlato a condizioni psicologiche, relazionali e socioculturali favorevoli, che risultano ben integrate nell’identità sessuale dell’uomo e della donna che ne gode dei vantaggi e dei benefici!.

Per contro, come sessuologo e psicoterapeuta, mi aspetto che qualsiasi evento di vita, in grado di perturbare in modo significativo il suo stato fisico o psicologico di una persona, possa alterare la fisiologia “normale” del desiderio sessuale. Ciò può accadere anche a causa di eventi che riguardano la vita affettiva e i rapporti interpersonali.

Traduciamo queste affermazioni in esempi concreti: patologie fisiche importanti, stati di stress prolungati, abitudini di vita nocive, esperienze traumatiche passate o attuali, assenza fisica o emotiva del partner, conflitti irrisolti nella coppia, educazione rigida, limitata conoscenza del proprio funzionamento sessuale, inserimento in un ambiente condizionante dal punto di vista di modelli familiari, tabù sociali, restrizioni culturali, valori religiosi ecc…

…tutti questi fattori possono comportare un “calo del desiderio”!

Il desiderio sessuale, dunque, è correlato, più o meno direttamente all’andamento della vita di una persona, mostrandosi meno presente ed intenso in rapporto all’incidenza negativa di variabili bio-psico-sociali.

Quando questo accade, le reazioni individuali possono essere le più disparate, dalla placida indifferenza (appunto!) ad un angoscioso senso di minaccia alla propria potenza sessuale.

Sia che si tenda a “fare i vaghi” oppure a “catastrofizzare” la situazione, è fondamentale conoscere la dinamica del desiderio sessuale e conoscere se stessi rispetto a questo argomento.


È imprescindibile comunque distinguere un calo del desiderio “normale” e “fisiologico”, (proprio o del partner), da una condizione sessuale patologica. Per i più precisi e per coloro che dovessero essere interessati, si determina un disturbo clinicamente significativo qualora insorga una riduzione importante o una assenza di desiderio, di fantasie e di pensieri sessuali in associazione alla perdita di risposta a vari stimoli erotici e alla diminuzione della motivazione sessuale, in grado di provocare disagio personale ed interpersonale. In questo caso sarebbero giustificati i criteri per una diagnosi di Disturbo da Desiderio Sessuale Ipoattivo.



Hai mai vissuto periodi in cui il tuo desiderio sessuale è meno intenso?

Come reagisci al calo del desiderio del/la tuo/a partner?

E cosa fai per stimolare il tuo e l’altrui desiderio?

venerdì 31 luglio 2009

Desiderio sessuale ipoattivo femminile




Che cosa accade ad una donna quando sente ridursi o svanire del tutto il suo "desiderio"?


Come si modificano la sua mente, il suo corpo, il suo modo di comportarsi e di rapportarsi agli altri?


Quali aspetti della sua femminilità emergono dall'ombra e quali, invece, si nascondono?

venerdì 12 giugno 2009

Vaginismo

Le persone che si interessano a questo specifico argomento o, in generale, alle difficoltà e ai disturbi sessuali hanno un’idea di cosa sia il vaginismo. Altrimenti, è sorprendente la scarsa conoscenza che dilaga su molti temi della sessualità!

Il vaginismo è un disturbo sessuale che consiste in uno spasmo involontario dei muscoli che circondano l’entrata della vagina. Essendo involontario non è sotto il controllo intenzionale della donna che lo sperimenta, per cui viene vissuto come un problema importante, un disturbo che impedisce una serena e gratificante vita sessuale.

Si tratta di una “sindrome dolorosa” associata all’attività sessuale che, nel caso del vaginismo, agisce in maniera anticipatoria, ossia da impedire la penetrazione, percepita come causa di dolore. In questo senso la contrazione involontaria dei muscoli vaginali esprime una forte paura, un’ansia sessuale, una fobia della penetrazione.

Il vaginismo può essere ricorrente o persistente ed è considerato primario se è presente sin dall’inizio della vita sessuale di una donna e secondario se si manifesta successivamente. La sua gravità viene valutata secondo una scala composta da quattro livelli. Per comprendere bene il disturbo è necessario non solo approfondire questi aspetti diagnostici, ma soprattutto comprendere gli aspetti emotivi che sostengono, nella donna che lo sperimenta, il “suo” malessere, psicologico e fisico.

Rispetto ai fattori eziologici, infatti, possiamo rintracciare delle cause fisiche (legate ad un imene particolarmente fibroso o cribroso, oppure ad un ipertono del muscolo elevatore) ma, in ogni caso, sono particolarmente significative le cause psicologiche.

Il vaginismo è legato ad un intreccio molto ricco di emozioni e vissuti interni, immagini e pensieri, sensazioni e percezioni molto intimi e personali. Nell’esperienza clinica, però, si riscontra con molta frequenza che le donne che soffrono di vaginismo abbiano una scarsa consapevolezza di questi aspetti della loro identità sessuale.

In questo senso la terapia del vaginismo è strettamente correlata ad una attenta ed approfondita comprensione della storia della persona e delle cause che concorrono all’insorgenza e al mantenimento di una difficoltà così delicata.

Tra i fattori psicoaffettivi merita una certa cura la valutazione dell’ambiente educativo e della mentalità della famiglia di provenienza. Molti tabù, proibizioni, vincoli e regole acquisite nel periodo evolutivo possono essere conservati come inibizioni (mentali) e come tensioni (fisiche) che restano non elaborate. Il vaginismo, infatti, è un problema che rende evidente l’intrinseca unità mente-corpo. Così, nel lavoro di “esplorazione” delle motivazioni psicoaffettive, emergono, tra i vissuti più intensi la paura della deflorazione, l’ansia per la perdita della verginità, il terrore della “prima volta”, della gravidanza e del parto. Un discorso ulteriore è rappresentato dal vaginismo insorto in seguito ad esperienze traumatiche (abusi, violenze, aggressioni, molestie).

Nel lavoro con i disturbi sessuali, però, oltre all’anamnesi ritengo vada sempre riconosciuta altrettante rilevanza al qui ed ora, ossia alle cause relazionali. La cura del vaginismo non può prescindere da queste variabili, soprattutto quando la donna ha un partner fisso.

Con grande frequenza, infatti, un disturbo sessuale si genera dalle difficoltà di entrambi i partner di una coppia, esacerbate dall’incapacità di entrambi di gestire ansie, inibizioni, resistenze, blocchi, ecc.

I disturbi sessuali, come in vaginismo, possono causare una caduta secondaria del desiderio sessuale e dell’eccitazione che, con il tempo, possono strutturarsi e permanere, indipendentemente alla causa iniziale di insorgenza! In questo senso è fondamentale comprendere la dinamica della coppia, la disponibilità dl partner a mettersi in gioco nel superamento di una questione che, una volta insorta, è un “problema comune”. Per riacquisire una sintonia affettiva, rinforzare una complicità relazionale. Per migliorare l’intimità, il piacere, la soddisfazione nella coppia.


Hai mai avuto una difficoltà nei momenti di intimità?

Prima o durante?

E a chi hai attribuito la causa: a te, al partner o ad altro?



martedì 26 maggio 2009

Dispareunia: valutazione clinica


Il dolore sessuale femminile - che ho definito e descritto nell'articolo del mese di aprile 2009 - è un fenomeno che in primis va valutato dal punto di vista organico. La funzione sessuale richiede l’integrità di molteplici sistemi, nervoso centrale e periferico, immunitario ed endocrino, vascolare e muscolare, nonché degli ecosistemi colonico e vaginale. A tutti i livelli può verificarsi un problema che genera dolore fisico. Quando ciò dovesse verificarsi, la corretta lettura del "segnale algico" implica che il sintomo vada ricondotto ad una specifica causa, che può essere di natura:
  • Infettiva

  • Infiammatoria

  • Ormonale

  • Muscolare

  • Neurologica

  • Immunitaria

  • Vascolare

  • Anatomica

  • Iatrogena

La valutazione clinica della dispareunia richiede anche una attenta considerazione delle variabili relazionali e psicoaffettive connesse all’insorgenza del dolore sessuale femminile.

Un significativa rilevanza è rappresentata dalla dinamica interpersonale. Occorre distinguere il dolore coitale che si presenta con un unico partner dai casi in cui esso è sempre presente. Se la dispareunia si manifesta, per esempio, esclusivamente con il partner fisso, è utile approfondire sia le modalità in cui si svolgono le attività sessuali, sia il grado di intesa presente.

L’affinità nella coppia, e la conseguente compatibilità, a volte è presente solo ad alcuni dei livelli possibili (spirituale, intellettuale, emotiva, sessuale…). Nei casi di dolore sessuale femminile, il partner gioca un ruolo fondamentale nell'incoraggiare la compagna ad affrontare e risolvere "insieme" un problema che ha effetti negativi su etrambi!

In questa prospettiva l'atteggiamento che i partner dovrebbero adottare nei confronti l'uno dell'altra e del problema stesso deve essere di apertura e disponibilità, accoglienza e rispetto, sostegno e impegno. A volte, invece, capita che le donne subiscano giudizi ed accuse, umiliazioni ed abbandoni che negativizzano i vissuti che gravitano intorno a tale problema.

Personalmente ritengo che vada compreso il modo in cui una donna - single o in coppia - si relaziona al suo dolore coitale in quanto è indicativo di molti aspetti della sua identità sessuale.

È fondamentale rivolgersi ad un professionista (medico generico, ginecologo, sessuologo, psicoterapeuta, ecc.) che possieda la sensibilità e la competenza per riconoscere l’impatto di aspetti determinanti nella sessualità femminile, quali il rapporto con il proprio corpo sessuato, le modalità con cui espreime la seduttività, i significati che ella attribuisce al suo "essere donna".

Nella valutazione clinica della dispareunia, dunque, assume un valore centrale l'approfondimento del tema del piacere. Ogni donna, infatti, costruisce un proprio rapporto con il piacere, inteso come soddisfazione delle proprie esigenze fisiche e sessuali, dei bisogni affettivi e psicologici, delle richieste relazionali...

... ecco perchè è fondamentale la scelta del professionista, che va considerato come una persona con cui stabilire una relazione terapeutica connotata da fiducia e condivisione degli obiettivi. Questa "cornice" consente l'esplorazione e la comprensione degli spazi e dei confini, fisici e mentali, entro cui una donna si sente in grado di accettare e dare un senso alle sue fonti di piacere e, per contro, di dolore.
Che rapporto hai con il piacere erotico?
Riesci a viverlo fino in fondo o avverti in te delle remore che non hai superato?
Nell'intimità quali sono, per te, i bisogni più importanti che ti procurano piena gratificazione?

giovedì 30 aprile 2009

Dolore sessuale femminile


“Perché una donna deve essere colpita dal dolore proprio nel luogo e nel momento in cui dovrebbe provare il massimo del piacere, a tutti i livelli? È così ingiusto!”

Queste sono le parole che una giovane donna di 27 anni mi ha rivolto al suo primo colloquio per “dolore sessuale”. Parole che esprimono esasperazione, ma anche ricerca di una spiegazione e di una soluzione.

In cosa consiste questo problema?

Tecnicamente definiamo “dispareunia” le forme di disturbo sessuale - sia maschile, sia femminile - che provocano un dolore genitale specifico che si manifesta ai tentativi di penetrazione o durante la stessa. Nel caso del dolore sessuale femminile la collocazione fisica del disturbo ci fa distinguere tre tipi di dispareunia:



  • Introitale (superficiale)

  • Mediovaginale

  • Profonda

Il dolore introitale e mediovaginale, generalmente, è descritto dalla donna come un “dolore all’inizio del rapporto sessuale”. Il dolore profondo è avvertito, invece, come più interno e diffuso. La sua intensità è variabile e, indipendentemente dalla sua “sopportabilità”, esso altera completamente l’esperienza intima femminile, fisicamente, emotivamente e nello scambio relazionale con il partner. Per valutare il dolore soggettivo viene utilizzata una scala analogica da 0 (assenza di dolore) a 10 (il dolore massimo mai avvertito).

Anche la dispareunia, come il vaginismo, è una “sindrome dolorosa” associata all’attività sessuale. A differenza del vaginismo però, che impedisce la penetrazione , la dispareunia ostacola ma non preclude di per sé la ricettività vaginale. La penetrazione, in effetti, viene evitata non per una “paura immaginata” o per una “resistenza psicoaffettiva” bensì a causa di una esperienza reale di dolore che disturba la felice realizzazione del rapporto sessuale completo.

Se, infatti, si tende a valutare il vaginismo come un disturbo prevalentemente psicosomatico - nel senso che è il corpo a reagire negativamente a schemi mentali disfunzionali - è più corretto considerare la dispareunia in chiave somatopsichica - ossia che il dolore coitale ha una base organica quasi sempre presente a cui consegue anche una reattività psicologica.

Il dolore coitale, dunque, è un protagonista reale nella dispareunia, un dolore presente in maniera specifica ed attiva!

Può manifestarsi sempre o occasionalmente e può insorgere sin dal primo rapporto sessuale (dispareunia primaria) ma anche successivamente (secondaria). In ogni caso non bisogna mai sottovalutarlo, al contrario è necessario considerare il dolore sessuale come un "informatore" di una realtà interna - biologica e/o psicologica - che va accolta e gestita con consapevolezza e maturità.

Ti è mai capitato che tu o il/la tuo/a partner accusasse un dolore genitale così forte da dover sospendere i rapporti intimi?

Cosa penseresti e cosa diresti in una situazione simile?

Immagini che ne parleresti a qualcuno? E a chi?

martedì 31 marzo 2009

Coppia





Cosa significa, in questo momento della tua vita, "stare in coppia"?



C'è una trama che si ripete nelle tue "storie d'amore"?



E che ruolo interpreti tu nel "gioco della relazione"?

sabato 28 febbraio 2009

Famiglia tra

CONVEGNO GRATUITO
BENEVENTO, SABATO 21 MARZO

Che opinione hai della famiglia tradizionale e della famiglia di oggi?

Su questo tema, generalmente, le nostre idee provengono dalle nostre esperienze dirette. Belle o brutte che siano, possiamo elaborarle intelligentemente ed avere una visione adulta della famiglia. Altrimenti, se restiamo legati alle nostre percezioni infantili o adolescenziali, rischiamo di generalizzare le nostre esperienze ed avere una visione “viziata” della realtà.

Voglio proporvi un piccolo test, una semplice prova che utilizzo spesso in consulenza e in psicoterapia con le famiglie. Segui le istruzioni:

Concentrati un attimo (puoi anche chiudere gli occhi, ma poi riaprili altrimenti non puoi più leggere!)...


Pensa a alla tua famiglia e afferra al volo la prima scena che ti viene in mente, la prima emozione che ti arriva, il primo pensiero che fai!

La famiglia è una realtà che, in modi diversi, segna il percorso di crescita e di autorealizzazione di ogni individuo. Per ciascuno di noi la famiglia rappresenta la propria storia, la radice affettiva e la provenienza culturale. Lasciando un segno profondo, come un imprinting, che traccia il tipo di relazioni e di comportamenti attraverso cui tenderemo a costruire il nostro futuro insieme alla persona amata. Le scelte affettive adulte, in questo senso, sono collegate alle esperienze vissute precedentemente. Così tendiamo a replicare le condizioni che ci hanno fatto sentire felici e ad evitare le situazioni in cui non siamo stati bene. Tendiamo a ripetere o a fare l’esatto contrario, a seconda della tenerezza o del dolore che ci suscitano i nostri ricordi, rispetto ai comportamenti osservati tra i nostri genitori e che questi hanno agito verso di noi.

A volte le esperienze di alcuni sono state talmente critiche che può sembrare troppo complicato costruire una famiglia propria, tanto da non ritenersi all’altezza. Oppure troppo rischioso, pericoloso. O troppo limitante, ingombrante. Alcune persone, sulla scia di questi vissuti, si deprivano anche di avere una relazione stabile e duratura. Consciamente o inconsapevolmente.

La nostra vita affettiva, nel rapporto con i nostri genitori, nella vita di coppia e nell’essere genitori, a volte è “sospesa”. Sospesa tra il nostro passato e il nostro presente. Sospesa tra pezzi della nostra identità che ci sembrano inconciliabili (e troppo spesso anche inconfessabili proprio a chi ci è più intimo). Sospesa tra i ruoli che gli altri si aspettano che ricopriamo e le aspirazioni più naturali per noi. Sospesa tra bisogni che avvertiamo in noi e che non riusciamo a conciliare con l’ambiente in cui viviamo.

È così che iniziamo ad andare in crisi …

Ti è mai capitato di pensare che sei nato in una famiglia di pazzi?
O che i tuoi familiari sono strani?
Non ti sei mai sentito diverso?

venerdì 30 gennaio 2009

Complicità

L’esperienza terapeutica, in parte confermata da quanto emerge in relazione agli ultimi due articoli che ho pubblicato, rimanda ad una questione che rigiro a tutti voi:

che cos’è la complicità?

A questo punto ognuno parte con le proprie proiezioni! Positive ed idealizzate. O anche negative e disfattiste. I più ottimisti ritengono che la complicità sia una specie di sintonia magica che si crea sin dal primo momento tra due individui che non si conoscono ma che sentono di essersi “ri-conosciuti”. I più prudenti dichiarano che è il frutto di una conoscenza reciproca approfondita e di un lungo periodo di esperienze vissute insieme. I più delusi dalla vita negano che esista e che, se dovesse verificarsi, è soltanto un accordo emotivo tra due persone, dovuto ad una combinazione favorevole di bioritmi, ormoni o eventi esterni.

L’argomento merita una attenzione che vada oltre le sole esperienze personali! In primo luogo occorre distinguere il contesto di riferimento:

la complicità è una precisa connotazione della relazione che può esistere tra due persone e riguarda diverse dimensioni esistenziali: l’aspetto emotivo ed affettivo, le capacità conoscitive e critiche, la sfera degli obiettivi di vita e dei valori!

La complicità, di per sé, può svilupparsi tra persone dello stesso genere o di sesso opposto. Può riguardare persone che lavorano insieme o che, in qualche modo, condividono la vita privata. Si sviluppa tra persone che sperimentano una intimità affettiva e sessuale, indipendentemente dalla personalità, dalle esperienze di vita, dall’orientamento sessuale, ecc.

Sentirsi complici è una esperienza del tutto speciale!

Innanzi tutto perché, da un punto di vista emotivo ed immaginativo, ci fa sentire accettati dall’altra persona e molto vicini, come se si fosse in un luogo lontano dove gli altri non ci possono raggiungere.

In secondo luogo perché, da un punto di vista cognitivo e progettuale, ci da la netta percezione di una comprensione reciproca precisa e che si è in pieno accordo su quello che si desidera e che si vuole raggiungere insieme.

In terzo luogo perché, da un punto di vista psicologico e motivazionale, ci fa sentire pieni di energie vitali, creativi, espressivi, curiosi, attivi, imprevedibili… anche un po’ “bambini” e un po’ “matti”!

Ma come si sviluppa una complicità, dal punto di vista psicologico?

Le motivazioni e le dinamiche che possono svilupparsi tra due persone possono riflettere una relazione equilibrata, in cui l’altro rappresenta un arricchimento alla propria vita. In questo senso la complicità esprime la maturità e la libertà interiore di entrambi, le facoltà critica e di scelta, la capacità di condividere e spendersi per obiettivi ed ideali comuni.

Tuttavia la complicità può essere anche espressione di una “relazione a incastro” , in cui due individui si completano attraversi aspetti del proprio essere. Questo tipo di dinamica a volte è consapevole e a volte no. A volte assume un valore costruttivo, altre volte svolge una funzione compensativa. Il rispecchiamento ed il completamento di sé insieme all’altro può costituire per due persone un percorso di crescita interpersonale, di realizzazione e di sana complicità. I problemi nascono se l’altro rispecchia una illusione del proprio Io…




Ti sei mai sentito così con qualcuno?
Da che cosa dipende, per te, il sentirsi complici?
In che modo esprimi al meglio il tuo “essere complice”?