mercoledì 31 dicembre 2008

Matrimonio oggi

Cosa significa oggi, per un uomo e una donna adulti, “stare insieme”?

Mi ha suscitato simpatia il fatto che molte persone mi hanno scritto e-mail private a riguardo del tradimento. E che, neanche mantenendo l’anonimato, hanno voluto raccontare attraverso il blog le loro esperienze. Non è sempre immediata la consapevolezza di se stessi, come uomo o come donna, in relazione ad una persona da amare e con cui costruire qualcosa.

Qual è il motivo per cui stai con il/la tuo/a partner?

Quando pongo questa domanda, raccolgo motivazioni tra le più varie: per amore, per rimedio alla solitudine, per abitudine, per il sesso, per la stima, per la dipendenza economica, per un senso di sicurezza, per apatia, per i figli, perché non c’è altro… Nella vita affettiva, quella vissuta quotidianamente, le domande e i dubbi rimasti in sospeso (su se stessi e sul proprio partner) prima poi si ripropongono… e presentano il conto!

È importante ricordare che, in quanto esseri sociali, rendiamo “sociale” anche il nostro "comportamento affettivo". I nostri stessi sentimenti e il modo in cui ci rapportiamo agli altri sono mediati, sin dalla nascita, dalla cultura in cui siamo nati e cresciuti. Nella nostra tradizione, il legame tra un uomo e una donna adulti è sempre stato finalizzato all’unione coniugale. E' sotto gli occhi di tutti quella particolare "pressione sociale" relativa al matrimonio!

Il matrimonio è un rapporto morale e giuridico esistente tra un uomo e una donna che si impegnano, davanti ad un pubblico ufficiale o ad un ministro del culto, ad una completa comunanza di vita. Può essere civile e religioso e, in tal senso, presenta diritti e doveri simili, ma anche significati specifici e differenti.

Il matrimonio è un elemento fondamentale della nostra organizzazione sociale e, all’interno della stessa, è precisamente riconosciuto e regolamentato. Si tratta di un costituente sociale che, in modo esplicito ed implicito, è di forte impatto per ogni singolo individuo! Per molte ragazze il proprio abito da sposa può esser stato un sogno ad occhi aperti per lungo tempo. Per molti uomini la scelta della propria compagna di vita è il risultato di una attenta valutazione. Molte altre persone non ci pensano neanche lontanamente a sposarsi e ad assumere un impegno formale di questo tipo! Insomma, il matrimonio rappresenta comunque un passaggio molto significativo del ciclo vita di un individuo, che lo si consideri un ... traguardo da raggiungere o da saltare a piè pari!!!

Non desidero, in questa sede, proporre una riflessione sistematica sulla "psicologia del matrimonio". Ci tengo, però, a sottolineare alcuni aspetti fondamentali di cosa, comunemente, rappresenta la “fede al dito”. Il fatidico “si!” modifica lo status sociale di un uomo o di una donna; ridefinisce i suoi ruoli e le sue funzioni rispetto alle famiglie di provenienza e al proprio contesto sociale; apporta profondi cambiamenti nelle posizioni di vita (nelle responsabilità e nelle aspettative) connesse all’essere un marito o una moglie.

Il matrimonio, quindi, non ha solo una “valenza ordinatrice” del rapporto tra un uomo e una donna ma presenta anche forti implicazioni a livello sociale, legale, culturale e psicologiche! Implicazioni pratiche e concrete, ma anche simboliche ed etiche! Implicazioni che possono essere apprezzate e desiderate o temute e rifiutate. Ma il modo in cui è considerato il matrimonio oggi risponde a specifiche culturali di questi tempi?

Cerchiamo di capire cosa sta succedendo intorno a noi per capire cosa sta succedendo dentro di noi! L’istituzione del matrimonio può essere considerata secondo tre aspetti fondamentali:
· l’atto costitutivo dell’unione coniugale
· l’identità dello sposo e della sposa
· la consuetudine della vita condivisa.
Questi tre cardini, sebbene vincolati ai diritti e ai doveri del matrimonio stesso, stano subendo l’influenza del nostro contesto storico, sociale e culturale. La storia ci insegna che in epoche diverse il matrimonio prevedeva ritualità, diritti, doveri e abitudini sempre differenti. Per la donna, per esempio, nel passato il matrimonio comportava il passaggio dal grado di “figlia di famiglia” a quello di “femmina maritata”, non più sottoposta alla patria potestà e a rischio di rimanere “zitella”!!! Basti solo pensare a come era concepita, fino a qualche decennio fa, l’identità femminile... per essere considerata una "donna per bene" era necessario osservare alcuni valori fondamentali, tra cui la verginità prematrimoniale. L’autorealizzazione come donna era accettata ma intesa come costituzione di una famiglia propria e dedizione al focolare domestico, al coniuge e alla prole.

Si tratta di un esempio assolutamente valido per le generazioni precedenti, decisamente anacronistico per quelle più giovani. Negli ultimi decenni eventi storici di impatto mondiale, progressi scientifici e tecnologici, nuove tendenze politiche ed economiche, hanno avuto massicce ricadute sui sistemi sociali. Dopo la rivoluzione culturale sessantottina e la legge sul divorzio anche in Italia si è innescata una emancipazione di massa dei costumi. Questi mutamenti continuano ad impattare sulle abitudini, sugli stili di vita e sulle modalità relazionali tra uomini e donne (come voi stessi testimoniate in risposta all’articolo sul tradimento!). Le logiche di pensiero e i modelli di condotta più moderni ci aprono scenari e possibilità del tutto nuovi rispetto a modo cui possiamo essere, oggi, "uomini e donne in relazione". Anche “flessibili”, per rispondere all’incertezza delle relazioni affettive contemporanea. Anche “liberi”, per risolvere la fragilità dei contatti intimi contemporanei. Anche “a tempo determinato”, per riparare all’amore che, di questi tempi, “è eterno finché dura”!

Ciò che osservo è che i mutamenti culturali relativi al modo in cui oggi un uomo e una donna possono stare insieme sono sia globali, sia individuali. In tal senso anche il matrimonio, pur rimanendo uguale a se stesso nella sostanza, si è “modificato” nei significati personali, nei modi di sentirsi marito o moglie e di interpretarne lo spirito.

Questo può essere una opportunità per vivere al meglio la propria vita affettiva, sessuale e relazionale … ma anche una sfida del tutto nuova per l’uomo e la donna sentimentalmente legati ad un’altra persona.


Che significato ha per te la scelta e lo stare insieme ad una persona?
Il sentimento d’amore, nella tua esperienza, comporta anche un sentimento di impegno etico e concreto verso il/la proprio/a compagno/a?
Cosa ti aspetti, profondamente, dalla persona che ti ama e ti vuole accanto sé?


venerdì 28 novembre 2008

Tradimento



Nessuno ne parla o chiede pubblicamente nel blog. “Tutti” (!!!) ne parlate o chiedete privatamente via mail. Cosa significherà questo fatto?!? Possiamo formulare qualche ipotesi?!?

E va bene, ne parlo io direttamente! Proprio oggi sono venuto a conoscenza di alcuni dati che delineano il "profilo del traditore italiano". Siete curiosi, eh? Volete capire se il/la vostro/a partner corrisponde o se voi stessi siete “sgamabili”!

In realtà in giro è facile recuperare report di inchieste, articoli di giornali e pubblicazioni di ricerche scientifiche … da cui risulterebbe che chi tradisce di più sono tendenzialmente gli uomini, rispetto alle donne, e che il passaggio all’azione aumenta tra le persone (molto) mature; i giovani risultano più fedeli! Altre caratteristiche che compaiono con maggiore frequenza tra i “traditori italiani” sono: aver conseguito titoli di studio alti, non essere credenti, essere residenti nel Centro o al Nord o abitare in una città con oltre 250 mila abitanti. E tra le persone sposate? L’infedeltà coniugale sembrerebbe aumentare tra il sesto ed il decimo anno di unione e dopo il compimento del ventesimo anniversario!

Si tratta di dati che potrebbero allarmare o tranquillizzare il lettore a seconda dei casi … ma allora, prima di rilassarvi, se siete soggetti iper gelosi o super insicuri, allora valutate bene quando aumenta il rischio di tradire il partner: con lo stress! Se il/la partner è troppo stressato/a nel lavoro, nella dinamica di coppia, negli oneri familiari o nel ruolo genitoriale, allora “capita” (?) di conoscere una persona e ci “scappa” (!) il tradimento!

Innocenti Evasioni” (come cantava Lucio Battisti!) o “Alto Tradimento” (come mi dite quando, invece di esser stati scoperti, l’avete scoperto!) …???

Già, che significa per te “ infedeltà”?

Credi in una monogamia reciprocamente scelta in coppia o in un istinto naturale ad avere più partner?

Certamente è fondamentale la consapevolezza che ogni individuo, al di là delle indagini statistiche, è diverso da ogni altro e che la storia di vita rappresenta un percorso unico e personale. In ogni caso, le motivazioni per cui si tradisce vanno rintracciate su un piano psicologico e/o relazionale.

Così il tradimento può diventare una fuga dalla routine o dalla insoddisfazione esistenziale; una ricerca di emozioni nuove o di maggiore soddisfazione sessuale (causata dall’appiattimento affettivo o dalla scarsa intesa con il/la partner); una vendetta dopo aver subito l’infedeltà o una trasgressione, In quest’ultimo caso le esperienze alternative sono rappresentate da partner occasionali, con cui praticare un “sesso anonimo” che non verrà mai più ripetuto; partner più giovani o più disponibili del proprio, con cui godere di attività sessuali più “spinte” rispetto a quelle praticate nella relazione fissa.
In questo senso, un altro aspetto discriminante è proprio il modo in cui si tradisce: ci sono persone che cercano continuamente avventure che, di volta in volta, "devono" realizzarsi con soggetti diversi. Altre persone non "sentono" di "tradire" il/la partner, stando in maniera "fissa" con un'altra persona. Tra il "sesso mordi e fuggi" ed avere un amante, ci sono in mezzo molte altre sfumature. Non ultime, le espereinze di tradimento con le persone del proprio stesso sesso.

In tutto questo scenario, come sessuologo e psicoterapeuta, ci tengo a sottolineare che il tradimento maschile segue logiche e modalità a volte del tutto differenti dalle costruzioni e dalle dinamiche del tradimento femminile. Il mondo delle emozioni e dei sentimenti, ma anche delle fantasie e degli immaginari interni la fanno da padrone ...

Tu che ne pensi, qual è la tua esperienza a riguardo?

Sei dell’idea che il tradimento vada confessato comunque o negato sempre?

Credi che una esperienza di tradimento occasionale e senza continuità vada valutata diversamente da una relazione continuativa in cui ci sono in ballo dei sentimenti?

venerdì 31 ottobre 2008

Cosa, Come, Quando “Dire”






Workshop esperienziale
condotto dal

Dott. Raffaele Bifulco

BENEVENTO

22 NOVEMBRE 2008

Cosa significa “Dire”?

Letteralmente significa esprimere qualcosa, comunicare a qualcuno con la voce. È un fatto ordinario. Significa anche affermare qualcosa, sostenere una posizione con qualcuno. Ma il fatto di esporre con parole o di affermare con scritti, in modo chiaro e diretto, non ha direttamente a che fare (chiaramente!) con il fatto di essere ascoltati e capiti.

Saper “dire”, infatti, non è fatto ordinario: la nostra comunicazione, ordinariamente, non è efficace! A volte separa invece di unire. Produce effetti contrari rispetto a quelli sperati. Addirittura può degenerare in liti piuttosto che consolidare sentimenti e rapporti soddisfacenti.


Eppure, quanto vorremmo essere dei comunicatori efficaci!!!

Come psicoterapeuta succede con molta frequenza che mi venga chiesto consiglio, in situazioni delicate di vario genere, su “come dire” una determinata cosa. È opinione comune che “cosa” si dice sia meno importante di “come” tale cosa sia detta; alla stessa maniera si è portati ad accettare che è più importante la forma che il contenuto (?).


E secondo te, gli effetti e i risultati di una comunicazione dipendono prevalentemente dal modo in cui viene organizzata ed espressa o dall’oggetto della comunicazione stessa?

Bisogna riconoscere che quando riceviamo un regalo, la prima cosa che vediamo è la confezione. Insieme al piacere per la sorpresa e per ciò che immaginiamo che sia, quello che ci colpisce piacevolmente d'impatto è la cura, la ricercatezza, la fantasia o la preziosità dell’involucro. A volte possiamo anche aver detto “Che bello, mi dispiace scartarlo!”…

Questa semplice metafora è esemplare per comprendere che, quando intendo comunicare qualcosa a qualcuno, la sostanza della comunicazione comprende un livello doppio: quello del Contenuto e quello della Relazione.

Il “Dire Efficace” dipende da quanto siamo consapevoli dell’importanza di essere ascoltati e di ascoltare, di sentirci capiti e di capire gli altri. In questo senso, sapere Cosa, Come e Quando Dire è una capacità che si matura con la conoscenza delle logiche e dei metodi della Comunicazione Efficace ma anche sviluppando la propria Sensibilità Interpersonale.

Come formatore mi sento convinto nel “dire” che la comunicazione è di successo quando ci consente di ambientarci nei diversi contesti della vita quotidiana, di presentarci nel modo più adeguato rispetto al contesto, di sintonizzarci in rapporti funzionali e costruttivi, di raggiungere obiettivi condivisi con gli altri. Alla stessa maniera la comunicazione è un autentico successo quando è un canale per uscire dalla solitudine ed entrare in contatto con le persone più intime, per costruire un circolo virtuoso di scambi nutritivi nei legami affettivi.

Ti senti soddisfatto dell'efficacia della tua comunicazione?

Quanto pensi che colpisca e rimanga di quello che "dici"?

Cosa pensi del "linguaggio del corpo?


martedì 30 settembre 2008

Il nodo delle relazioni



Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Filippo Rametta
e dal Dott. Raffaele Bifulco

BENEVENTO – 18 OTTOBRE 2008




“Mi accorgo che provo ogni giorno qualcosa di più forte in questo rapporto, ma non so se faccio bene a lasciarmi andare. E se non fosse la persona per cui ne vale la pena? Dipende da cosa mi fa provare… vabbè, se non mi va chiudo…”

“Ti rendi conto, non ha avuto neanche il coraggio di dirmi le cose apertamente. Adesso me le dovrà pagare tutte: buon viso a cattivo gioco!”

“Per me fare questa scelta è la cosa più giusta: il problema è degli altri che non vogliono capire e che si aspettano che io mi comporti per forza in un certo modo. Io devo essere me stesso, solo se sono felice potrò dare il meglio di me!”

“Non la sopporto e non la voglio accettare, è più forte di me. Per me le cose stanno così e ora se ne deve stare solo al posto suo. Meno ci ho a che fare meglio sto!”

“Io ce l’ho messa tutta ma a questo punto dipende da lei se vuole cambiare. Non posso più sopportare tutto questo, ora me ne lavo le mani. Mi si spezza il cuore ma non ne voglio sapere più niente!”

“Adesso devo portare avanti tutte queste cose e resistere! Non posso rinunciare a niente perché mi sentirei un fallito! Già mi immagino cosa penserebbero i parenti e cosa dovrei inventarmi per giustificarmi con i miei amici…”

Relazioni che ingabbiano, che reprimono l’espressività individuale. Circoli viziosi e comportamenti automatici dai quali non sappiamo venir fuori. Sentimenti di impotenza e di inadeguatezza. Resistenze e pregiudizi verso gli altri, agiti e subiti. Manipolazioni, gelosie, invidie. Paura di essere raggirati, usati… di sentirsi perdenti. Bisogno di superiorità, di evasione, di trasgressione a tutti i costi. Disorientamento di fronte a rapporti nei quali non si è certi di ritrovarcisi, di poter costruire…

Quante delle nostre storie raccontano questo, anche di più?! Le frasi che ho riportato sono frequenti: le abbiamo pronunciate oppure ce le hanno riferite. Nelle relazioni abbiamo sperimentato intense gioie e anche grandi sofferenze. E per questo, da qualche parte dentro di noi, temiamo che gli altri possano sempre deluderci.
I rapporti sociali e le relazioni affettive - con i genitori, i figli, gli amici, i colleghi, tra fidanzati, conviventi, coniugi, amanti - troppo spesso risentono di incomprensioni e diversità che derivano dall’età, dalla cultura, dalle esperienze di vita. O sono minati da paure, conflitti e disagi che limitano la persona nel suo Esserci, per se stesso e per l’altro.


L’incontro tra l’Io e il Tu sembra desiderare un incontro autentico tra la Libertà e la Responsabilità connesse alla Relazione, per mettersi in gioco veramente in tutti i tipi di rapporto.

Forse oggi è utile domandarsi “chi sono” ma chiedersi anche “chi è l’altro”; interrogarsi come si vuole essere e su come si vuole stare in contatto con gli altri. In questo senso, forse, l’autenticità e le varie forme che essa può assumere nelle relazioni è un punto di partenza per costruire ogni giorno la propria identità e la propria realizzazione personale, affettiva e professionale. Ma, forse, non è cosa così scontata e facile, per cui è anche un punto di arrivo a cui tendere costantemente.


Tu riesci a conciliare il senso di libertà e di responsabilità nei rapporti con gli altri?
Le relazioni che sono per te significative, in questo momento della tua vita, le senti autentiche?
Quale punto desidereresti affrontare per migliorarle e cosa aggiungeresti?

giovedì 7 agosto 2008

Psicologo

Molte persone, nella necessità di un aiuto per problematiche personali si rivolgono ad amici, sacerdoti, medici, catechisti, insegnanti, figure che possono ricoprire un ruolo di riferimento in un contesto istituzionale o associazionistico (ospedali, scuole, croce rossa, scout, ecc.).

Chi si rivolge, invece, allo psicologo?

Vediamo se ti riconosci!

Il “cliente tipo” è adulto, ha tra i 25 ed i 45 anni, appartiene ad una classe media o alta, per istruzione o livello socio-economico. Generalmente ha già familiarizzato con la psicologia, magari perché curioso, ne è venuto a contatto tramite i mass-madia o l’ha studiata. Frequentemente conosce qualcuno che si sia rivolto ad un psicologo o ad uno psicoterapeuta e, soprattutto, accusa uno disagio che potremmo definire “esistenziale”. Il cliente medio, infatti, può manifestare disturbi clinici circoscritti ma, il più delle volte, soffre di sintomatologie miste connesse a “crisi” evolutive e di adattamento nelle più svariate circostanze (es: difficoltà di inserimento scolastico in età infantile, conflitti familiari in adolescenza, lutti, malattie, condizioni di stress, crisi coniugale, ecc.) e dimensioni della propria vita (es: affettività, lavoro, famiglia, sessualità, interessi, ecc.).

Quando vengo contattato per una consulenza o per un percorso psicoterapeutico si concorda insieme il “primo appuntamento”. È un momento importante, che può assumere sfumature molto diverse da persona a persona. Dal mio punto di vista percepisco ogni volta cose e sfumature molto diverse. Ed è importante anche un altro aspetto: prendersi tempo per scegliersi reciprocamente.

Affidarsi non è un automatismo.

E seguire una persona significa avere uno spazio apposta per lei. Uno spazio interiore, in cui desidero accoglierla, avere sempre in mente qual è la sua storia e dove si trova in ogni momento del suo percorso. Tenerla. Stare con lei e sostare. Muoversi ed attraversare ogni necessaria esperienza. Crescere insieme.

Ai primi contatti le immagini che mi restituiscono le persone su come immaginano lo psicologo e lo psicoterapeuta corrispondono, il più delle volte, ad un dottore freddo e distaccato, che ti “scruta” dentro senza farti capire niente, che ha il potere di farti sentire insicuro e dipendente da lui, che ti fa sdraiare e ti fa parlare, che ti lascia intendere che, da qualche parte nella tua testa, esiste un mondo ignoto anche a se stessi, in cui di pensa, si desidera e si sarebbe capaci di compiere qualunque tipo di azione!

Ognuno si porta dentro un modo di rapportarsi allo psicologo, che possiamo raggruppare secondo questi stereotipi:

psicologo-confessore, guida spirituale, guru
psicologo-medico, farmacista, guaritore
psicologo-padre, risolutore di problemi, protettore
psicologo-amico, confidente, complice
psicologo-mago, veggente, oracolo
psicologo-madre, centro di accoglienza, lampada di Aladino

Cosa ti evocano queste immagini? Anche se a primo acchito non ti toccano, se ti ci soffermi potresti riconoscerti in una o più modalità. Ripensando a cosa sia effettivamente la psicoterapia, questi archetipi possono risultare molto distanti da quanto accade nel setting terapeutico… ma a volte anche no!!! Come si svolgerebbe una seduta se mi rapportassi allo psicologo come fosse un contenitore in cui svuotarmi? O, diversamente, se egli stesso si rapportasse a me considerandosi una specie di sciamano dei tempi moderni? Sono disponibile per domande ed approfondimenti. Proviamo a rifletterci insieme…


E tu, quando pensi allo psicologo, a quale di questi modelli tendi a rifarti?
Ne hai, invece, in mente un altro?
Vuoi raccontare come immagini o ricordi il tuo “primo appuntamento”?


giovedì 31 luglio 2008

Psicologia


Dopo averne sentite raccontare e sentite direttamente, ma anche viste tante e di tutti i colori, a questo punto sono io che pongo una domanda:

ma che cos’è, per te, la psicologia?

È noto che la psicologia scientifica è la disciplina che studia i fenomeni della vita affettiva e mentale dell’uomo (gli istinti, le emozioni, le percezioni, la memoria, la volontà, l’intelligenza ecc.). Lo sviluppo della psicologia, dalle radici storico-culturali dei “primi passi” ad oggi, rappresenta il bisogno dell’uomo di riflettere su se stesso, sulla vita e sul mondo in una chiave scientifica.

Con i contributi della fisiologia, della medicina e della biologia, ha poi preso piede l’interesse per le “malattie nervose”: la psicologia clinica è lo studio scientifico delle persone che presentano una qualche forma di anomalia psicologica, attraverso l’osservazione diretta, la diagnosi e la cura.

Certamente è questo l’ambito di applicazione da cui ciascuno di noi va a ripescare le proprie immagini, pensieri, opinioni e suggestioni sulla psicologia!

Ma la psicologia, per te, è un mezzo per “guarire” da un disturbo o uno strumento per “migliorare” la qualità della vita?

Termini come psicologia, psicopatologia, per gli “addetti ai lavori” sono chiari e ben distinti (anche se nella pratica vi è, tra tutti questi ambiti scientifici, integrazione e sinergia…talvolta scarsa definizione dei confini e sovrapposizione).

Per contro mi rammarico del fatto che il pubblico non ha una conoscenza sufficiente per distinguere con consapevolezza le figure diverse che sono presenti sul mercato e se hanno a che fare con la psicologia o con la medicina ... o con altro ancora! Così, in modo generico ed approssimativo, gli utenti collegano ai loro bisogni figure come lo psicologo, lo psicoanalista, lo psicoterapeuta, lo psichiatra e altri “professionisti” della salute mentale, senza capirne la specificità e la differenza!

Non sono rare, poi, le distorsioni che avvengono nella ricerca e nella richiesta di aiuto da parte dell’utenza. Sembra paradossale a dirlo ma accade, ancora oggi, che al pari delle figure professionali appena citate siano accostati maghi, cartomanti, astrologi, chiromanti e altri utilizzatori della “parapsicologia”.

Proviamo ad accrescere e a diffondere una cultura sana e costruttiva intorno alla psicologia e della figura dello psicologo! Dove non c'è conoscenza facilmente albergano tabù, luoghi comuni, stereotipi, scorrettezze, pregiudizi o peggio...

Sarà utile riflettere insieme sulle immagini, sulle opinioni e sulle suggestioni che abbiamo sulle figure dello psicoterapeuta e del sessuologo! Così come è importante comprendere come usiamo, manipoliamo, sabotiamo o valorizziamo i contributi della psicoterapia e della sessuologia...

Qual è la tua esperienza della psicologia?
Ti è servita, in qualche modo, a compiere un percorso pesonale?
Questo pezzo di strada a quale meta ti ha portato?

venerdì 13 giugno 2008

Desiderio e paura del "Noi"

Questo tema sarà trattato ed approfondito nella prossima edizione del corso

Eros e Psiche
...ostacoli e opportunità di un Amore imPossibile...?

BENEVENTO - 5 LUGLIO 2008

SONO APERTE LE ISCRIZIONI

Per ogni persona le relazioni rappresentano il “luogo” dove soddisfare i propri bisogni, interiorizzare un sufficiente senso di sicurezza e tutte le possibili espressioni dei sentimenti di affetto. E, ne sono sempre più convinto, è dentro le relazioni che costruiamo la nostra autostima, la nostra identità. Attraverso le relazioni più significative realizziamo noi stessi.


Ma è altrettanto vero che le relazioni possono essere anche il teatro in cui si svolgono altre scene, in cui agiscono personaggi che non agevolano lo svolgimento della storia, in cui i copioni si fissano in modo ripetitivo senza apparente evoluzione della storia individuale…


E così, all’interno delle relazioni, nascono e crescono due parti all’interno di un unico soggetto:

da un lato il desiderio, frustrato e non profondamente appagato, di poter ricevere e trasmettere l’amore;

dall’altro la paura, presente e continuamente limitante, di essere feriti affettivamente o limitati nella propria individualità.

Tutti noi, spesso, sappiamo molte più cose di quanto, effettivamente, non ce ne portiamo a consapevolezza. Lo scorso week-end, mentre si svolgeva il corso sull’autorealizzazione ed il potere personale, i partecipanti – un gruppo decisamente eterogeneo e ricco per numerosità, varietà di esperienze, personalità e fasi della vita attraversate – si sono confrontati sulle ambivalenze che ognuno sperimenta quotidianamente nei rapporti interpersonali. Tra genitori e figli in famiglia, tra colleghi e con il capo nell’ambiente di lavoro, in amore, con il partner, sono sempre presenti la frustrazione, l’ansia e la difficoltà nel trovare e mantenere un equilibrio tra le parti. Confrontandosi in due sottogruppi, hanno rappresentato le loro esperienze sintetizzando vincoli che essi riscontrano sia nell’essere “legati a” qualcuno, sia nell’essere “liberi da”. Riporto di seguito i loro pensieri perché rappresentano con immediatezza il desiderio e la paura che la maggioranza di noi sperimenta nelle relazioni interpersonali ed affettive.

Quali sono i vincoli dei legami?
- Le limitazioni dell’individualità
- Avere poco tempo per se stessi
- Restare delusi dall’altra persona
- Sentirsi indispensabili per gli altri
- Ritrovarsi troppo adeguati alle esigenze altrui
- Scoprirsi non all’altezza delle aspettative
- Sviluppare qualche senso di colpa
- Sentirsi insicuri senza gli altri
- …

Quali sono i vincoli della libertà?
- Diventare meno partecipativi alla vita degli altri
- Sentirsi meno coinvolti emotivamente nei rapporti
- Avere meno occasioni di confronto interpersonale
- Negoziare di meno ed esser più aggressivi
- Sentirsi soli
- Sviluppare una soggettività limitante negli affetti
- Diventare più rigidi e selettivi nei rapporti
- Sentirsi poco pensati, cercati ed amati
- …


Ciascuna di queste parole fa esplodere immagini fortissime dentro di noi, in negativo ed in positivo. Ciascuno di questi punti, anche se non esaustivi, mettono incredibilmente in evidenza, con semplicità e chiarezza, il conflitto continuo che ci portiamo dentro tra l’esigenza e la paura di “appartenere” a qualcuno, il desiderio e il timore di essere “slegati”, ossia “senza-legami”.

L’affermazione paritaria tra l’Io e il Tu richiede una costante ricerca di equilibrio. In una relazione significativa riguarda i bisogni di entrambi ( di sicurezza, di affetto, di autostima, di autorealizzazione…), le diverse personalità e le modalità affettivo-relazionali, il senso di identità, i valori e la direzione che ciascuno intende dare alla propria esistenza…

Quando penso al "Noi", penso ad uno “spazio” in cui i confini personali degli individui si sovrappongono. Penso ad un “tempo” condiviso in cui avviene l’esperienza relazionale. Penso che è la dimensione entro la quale si svolge una moltiplicazione delle potenzialità individuali e può avvenire la realizzazione della persona in tutte le sue dimensioni.


Quali sono, per te, le prospettive positive dei legami affettivi?

Quali opportunità cogli nell’affermazione della tua individualità?

E per la tua esperienza di vita, cosa significa “Noi”?

venerdì 30 maggio 2008

Separarsi


In questi giorni mi avete chiesto in molti di scrivere perché tante coppie non superano le loro crisi e si separano. Nell’esperienza di tutti è presente la percezione che le relazioni d’amore non sussistono come format precostituiti o come percorsi prestabiliti o come contenitori universali in cui si riversano le individualità di due persone che stanno insieme!

Dall’innamoramento all’amore, dall’idealizzazione alla conoscenza profonda, dallo slancio iniziale alla scelta matura è sempre presente un appello che riguarda la coppia come il singolo individuo: essere presente!

L’individualità necessita continuamente di realizzare un incontro con l’altro, per riconoscersi come coppia. Ma anche per comprendere come noi stessi cambiamo ogni giorno o come l’altro si comporta di fronte alle circostanze. Questo ha necessariamente delle ricadute sulla coppia.


Novità e imprevisti, delusioni e mortificazioni, leggerezze e monotonie, seduzioni e distanze, difetti e obblighi percepiti, abusi e potere mal distribuito…
Cosa aggiungeresti tu alla lista dei motivi per cui si va in crisi?


Quando sopraggiungono determinate “novità”, se non vengono adeguatamente “elaborate” ci si può comunque continuare a voler bene, a sentirsi legati, a stare insieme ma, a livello emotivo, inizia una separazione.

Le relazioni d’amore devono poter disporre sempre di soluzioni di continuità ed evolversi di volta in volta in maniera costruttiva per entrambi i partner. Quando questo non accade può subentrare una crisi individuale o di coppia. I tempi e il finale possono essere più i meno lunghi e più o meno lieti!

In generale, modificare un rapporto di coppia o uscire da una relazione d’amore è complesso in quanto vi sono tutta una serie di storie, di scambi, di promesse, di esperienze che si sono condivisi in due per un arco di tempo (almeno soggettivamente significativo). Molti temono la separazione proprio perché, quando si è sperimentato un importante sentimento di unità con qualcuno, vorrebbero recuperarlo invece di rischiare di non ritrovarlo mai più se cercato altrove.

Il cambiamento e la separazione spaventano e possono far male. Cambiare o separarsi, in primo luogo, è un passaggio interiore, che può riguardare un progetto personale, un’abitudine consolidata, una persona amata e che comporta anche una trasformazione di sé. In secondo luogo si tratta è un processo di riadattamento esterno, che richiede nuove logiche di pensiero, di azione e canalizzazione delle proprie energie.

Il paradosso maggiore è che pare bisogna essere uniti per separarsi bene!

Invece nessuno ci insegna a separarci. La separazione rimanda alla paura di rimanere soli, uno dei fantasmi più atavici della nostra vita. Molte difficoltà, sofferenze ed ingiustizie si verificano nelle relazioni affettive perché vi sono ambiguità sul piano relazionale ed ambivalenze sul piano affettivo.

Hai mai versato lacrime indimenticabili per la fine di un amore?
Hai provato il tormento per le cose non dette?
Hai ripiegato in nuove relazioni senza aver mai elaborato e chiuso interiormente il precedente rapporto?
Oppure hai subito questo dal tuo partner?

Le relazioni affettive rappresentano un'opportunità. Un'opportunità di crescita! Essere uniti, trovare nuove forme di adattamento o separarsi sono tutte esperienze che possono essere vissute in maniera insana oppure edificante.

Occorre maturare la capacità di stringere legami emotivi sani in cui vivere relazioni costruttive.

Cosa contraddistingue questi legami? L’intimità. Fin dalla nascita abbiamo l'esigenza di far coincidere il piacere con la ricerca delle relazione. Stare bene e costruire legami affettivi è una radice che va riscoperta e che coinvolge il codice biologico, psicologico e comportamentale di ciascuno di noi. Qui si svela la possibilità di superare la fobia del contatto o il terrore dell’abbandono e raggiungere la stabilità affettiva.

Quanto ti attrae e quanto ti spaventa l’intimità con un’altra persona?
Ti senti stabile affettivamente in questo momento della tua vita?
Vuoi raccontare la tua esperienza?

martedì 13 maggio 2008

Magari dipendesse da me!


Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Raffaele Bifulco



“Ci sono volte, al mattino, in cui nell’istante in cui realizzo che mi sto svegliando, che sta iniziando un nuovo giorno, mi si spezza il respiro. Per tutta la durata di quell’istante mi si ferma il cuore, come se in quel solo giorno si giocasse tutto il mio futuro. Allora mi alzo di scatto e faccio finta di niente.”

“Il momento più brutto della giornata? Quando inizia! Perché finisce la tregua e devo riprendere le armi per l’ennesima battaglia della vita quotidiana. Il solo fatto di stare sveglio significa “dover resistere”, allora cerco di dormire il più possibile, per riposarmi e abbandonarmi sempre un po’ di più…”

“Non ce la faccio! È la prima cosa che mi passa per la testa. E poi è come se mi sentissi bloccata, nel corpo, nella mente…che mi alzo a ffa’? Mi manca l’energia, l’emozione giusta per affrontare anche le cose più semplici. In realtà non vorrei una vita diversa, vorrei solo viverla diversamente…ma magari dipendesse da me!”


Quanto scoraggiamento rispetto alla possibilità che la nostra vita possa offrirci maggiori soddisfazioni! Ognuno di noi è sicuro che certe situazioni, certe persone, certi ambienti non cambieranno mai. Per quanto ci proviamo, ci arrabbiamo, ci adattiamo, profondamente ci sentiamo stanchi ed impotenti oppure delusi ed insoddisfatti.

Le reazioni note?

La rassegnazione, che produce un dialogo interiore che recita più o meno così: “Non ci posso fare nulla!”. Prevale una percezione di ineluttabilità nei confronti della vita e un sentimento di sfiducia verso la propria capacità di incidervi e migliorarla. Non si riconosce o ci si disappropria del proprio potere personale.

L’iperattività, una reazione di difesa contro l’atteggiamento passivo alle “costrizioni” che appiattiscono la personalità e i desideri. Molte persone fanno la “rivolta” in modo franco ma militano in una sorta di “resistenza” contro una vita opprimente: invece di adeguarsi ai ruoli e ai doveri affibbiati loro (da genitori, partner, figli, lavoro, ecc.) si riempiono la vita di attività di qualunque genere. Impegnatissimi e presissimi come sono, non hanno modo di sentire la frustrazione che li spingono a non fermarsi mai.

Una prospettiva nuova?

Mi ritrovo spesso di fronte a questo paradosso: per “uscire” dai meccanismi del proprio copione occorre “entrarci dentro”. L’autorealizzazione è una meta raggiungibile che si sviluppa in un percorso a tappe:

Ritornare a se stessi per rendersi consapevoli della propria identità, delle proprie mete più autentiche, delle proprie energie attuali e potenziali.

Entrare nelle propria emotività per recuperare la capacità di giudizio, di scelta e di gustare le esperienze affettive.

Collegarsi agli altri per esprimersi al meglio, agire con proprietà e significati condivisi negli scenari del presente e della vita futura.


E tu, quale immagine hai quando ti risvegli al mattino?
Sai dove andare per sentirti autenticamente realizzato?
Riesci a riconoscere le tue risorse ed utilizzare le opportunità intorno a te ?


venerdì 2 maggio 2008

Ansia patologica


L’ansia è una normale risposta fisiologica ad uno stimolo, interno o esterno alla persona. Non provare ansia di fronte a determinati stimoli sarebbe “patologico” tanto quanto sentirsi paralizzati in occasione di situazioni considerate generalmente non minacciose.

Ma quali sono le cause dell’ansia?

Vanno considerate le variazioni biologiche dovute al alterazioni del sistema noradrenergico e serotoninergico; infatti, le risposte emotive e fisiologiche dello stato di paura e di eccitazione hanno precisi meccanismi fisici, in cui sono coinvolte sia particolari aree anatomiche del cervello, sia precisi neurotrasmettitori quali, appunto, la serotonina e la noradrenalina. Dal punto di vista del carattere anche la tendenza all’inibizione, all’introversione e alla timidezza possono contribuire all’emersione di un disturbi d’ansia; coloro che reprimono sistematicamente emozioni negative quali la paura e l’ira, con il tempo, possono manifestare le predette modificazioni signifcative del sistema noradrenergico e serotoninergico.

In generale, di fronte ad una situazione di pericolo possiamo reagire tendenzialmente in un doppio modo: con la reazione di lotta o con la condotta di fuga. Da una parte rimanere immobili e muti. Dall’altra trasalire e scappare via urlando. In entrambi i casi viene prodotta una maggiore quantità di particolari ormoni che aumentano il tono muscolare, accelerano il battito cardiaco e la respirazione.

Quando tali reazioni non si producono, compare il vissuto psicofisico di ansia. Questa diventa ansia patologica se dura a lungo, non si è in grado di ricondurla ad un motivo scatenante, non si riesce a controllarsi e a calmarsi come si vorrebbe.

L’ansia spaventa. Le persone che ne hanno conosciuto il lato più feroce – il panico – imparano a temerla e a stare in allerta anche quando non è presente. Le persone si sentono molto accolte e quando sentono che capisco la loro paura della paura.

Per aiutare una persona a migliorare la sua capacità di gestione dell’ansia il primo passaggio, per me, è rassicurarla, spiegando che, se conosciuta, la propria ansia cambia volto! Così accompagno l’ansioso alla riscoperta di se stesso, innanzi tutto contattando il suo corpo ed imparando a riconoscere le modificazioni del respiro, del ritmo cardiaco ecc.

In questo modo l’ansioso può apprendere quale sia la sua soglia soggettiva di confine al di sotto e al di sopra della quale sperimenta un’attivazione positiva e/o negativa. È qui che prosegue l’affascinante viaggio di auto-esplorazione verso il mondo delle fantasie e delle percezioni che attivano e sostengono l’ansia patologica.


Quale fantasma arriva a spaventarti e non ti lascia più sereno?
Cosa dici a te stesso quando ti senti più piccolo di quello che può accadere?
Quali panorami non guardi più e a quali sentieri hai rinunciato?

Superare la dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva deriva da un profondo disagio e crea molti disordini. Nelle parole e nelle lacrime di queste persone ho incontrato il dolore di chi soffre di “vuoti” gravi nell’affettività e nell’identità; di chi, ogni giorno, avverte l’angoscia di una precarietà esistenziale tremenda, un profondo senso di insufficienza. Si tratta di una percezione di fragilità insostenibile. Per reazione ci si lega all'altro/a fino al punto di perdersi in lui/lei. é come se ci fosee una illusione di fondo, di ritrovare se stessi, di acquistare valore attraverso l'amato/a. Le conseguenze peggiori si evidenziano quando gli stessi partner, da parte loro, presentano disturbi psicoaffettivi perchè questo può generare interazioni estremamente patologiche.

La dipendenza affettiva può provocare dei circoli viziosi, a livello psichico e relazionale. Le persone sentono di non riuscire a sottrarvisi e che necessitano di aiuti esterni. In effetti la dipendenza affettiva caratterizza l’intera organizzazione psichica di un individuo, a diversi livelli: dal punto di vista motivazionale si crea una sorta di irrinunciabilità alla persona amata, percepita come la struttura di sostegno che la persona dipendente sente mancare in se stesso; dal punto di vista cognitivo la rappresentazione del mondo corrisponde alle convinzioni che "la vita è difficile, gli altri sono capaci di governarla, io sono un soggetto impotente"; dal punto di vista affettivo vi è paura, ansietà ed apprensione all'idea di funzionare in modo indipendente, svolgendo compiti e ruoli autonomi; dal punto di vista comportamentale si evidenziano una serie di azioni riparatorie, anche inconsapevoli, che servono a sostituire la relazione affettiva e a sopperire ai bisogni di aiuto, protezione e rassicurazione. tutti questi fattori concorrono a bloccare la persona in una relazione dipendenza affettiva, anche quando la persona soffre o si rende conto di quanto sia nociva.

Aiutare una persona con dipendenza affettiva? Per me, certamente non basta limitarsi alla valutazione dei fattori che minano l'equilibrio di un sano rapporto di coppia! Infatti, suggerire nuove modalità di comportamento è una strategia che non rappresenta la complessità delle relazioni umane e, soprattutto... non valorizza la ricchezza interiore di chi, invece, ha un’immagine così povera di sé! Bisogna però spingere affinché la coppia possa evolversi dalla fusione all'integrazione.

Le parole e le lacrime di queste persone rivelano una sensibilità che, se riesci guardarla, è sempre molto provata. In particolare da esperienze affettive precoci che sono state deludenti, incerte, ambivalenti, destabilizzanti, contraddittorie, desolanti. La simbiosi è una culla stretta che protegge. Occorre trasformare la fotografia statica in un film dinamico: dopo la nanna, arriva la pappa! Fuori da metafora, va recuperata la percezione che è possibile spingersi oltre i limiti della propria esperienza umana ed andare verso un ambiente affettivo autenticamente nutriente!


Su quale fotogramma è ferma la tua storia?
Come ci stai dentro questa scena?
Come vuoi che prosegua il film della tua vita?


mercoledì 30 aprile 2008

Sviluppo professionale

L’aspetto lavorativo è molto rilevante nella vita di un individuo: da un punto di vista pratico il lavoro costituisce la fonte di sostentamento e un mezzo di stabilità economica: se poi si ha una famiglia, ciò vale non solo per se stessi, ma anche per coloro che dipendono da colui/colei che lavora. Superando una lettura semplicistica, si capisce che il rapporto individuo/lavoro vede compresenti aspetti di natura biologica, psichica e culturale che rendono la questione molto più complessa.

Il lavoro può essere considerato come l’applicazione delle facoltà bio-fisiche, psichiche, conoscitive e prestazionali di un individuo alla produzione di un bene o di un servizio, al raggiungimento di un risultato tangibile, di utilità individuale o di un gruppo.

Voglio evidenziare che il lavoro implica che le persone continuino sempre ad apprendere, relazionarsi e comunicare! Perciò il lavoro non ha solo una funzione produttiva ma anche una fortissima valenza sociale e psicologica! Infatti, presentarsi come medico o agricoltore, avvocato o panettiere, professore universitario o attore, impiegato statale o artigiano, poliziotto o disoccupato …non solo descrive le attività di un soggetto (cosa faccio) ma definisce automaticamente la sua identità (chi sono).

Inoltre, dal punto di vista sociale, il lavoro definisce anche il ruolo con cui ci si propone agli altri, sia negli ambienti lavorativi che nella propria vita privata.


Ci avete mai pesato che il lavoro ha a che fare con tematiche come il successo, il prestigio, la visibilità, la considerazione…?!?


Penso a quante persone vivono un profondo disagio per il tipo di lavoro che svolgono o per l’ambiente in cui sono inseriti. Il dilemma che mi pongono “lo mollo o me lo tengo?” è… esso stesso un lavoro! La valutazione di tutti i fattori che implica una questione del genere richiede tempo, accuratezza e la capacità di cogliere i molteplici aspetti personali ed interpersonali della vita di un adulto.

Nei percorsi psicoterapeutici ritengo sia fondamentale una matura consapevolezza di come il lavoro impatti direttamente sull’autostima di un individuo, date la sua storia, le caratteristiche della fase di vita che sta attraversando, le sue prospettive future. È entusiasmante lavorare sull’orientamento professionale insieme ad una persona che è in fase di autodefinizione dal punto di vista lavorativo! Così come è avvincente la realizzazione di color che con coraggio si decidono per un ri-orientamento professionale – a causa di insoddisfazione personale, perdita del lavoro o riorganizzazione della propria esistenza!

Gli step di discernimento, valutazione, orientamento, sperimentazione e scelta sono fondamentali ma, dal mio punto di vista, devono sempre essere monitorati come azioni di:

· consolidamento di un’autopercezione positiva

· individuazione delle fonti di gratificazione ed affermazione

· aumento del proprio benessere ed auto-realizzazione nel corso della propria vita



E tu, ti senti ben inserito nella tua vita dal punto di vista lavorativo/professionale?

Hai mai pensato alle attività e alle relazioni lavorative come punti di identità-espressività-realizzazione?

Vuoi raccontare la tua esperienza lavorativa/professionale o porre domande /punti da approfondire ?


Eros senza ali...


Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Raffaele Bifulco


ROMA - 14 GIUGNO 2008


...ovvero quando Eros non spicca il volo!!!


C’è libertà di pensiero, libertà di costumi. C’è libertà nei rapporti, nei modi di fare, nelle abitudini. Libertà nel richiedere qualunque cosa, come di ottenere o di negare facilmente.
C’è libertà di volere e di avere. Libertà di essere in un modo e poi di non esserlo più.
C’è tanta libertà. Veramente tanta!

Eppure tutta questa libertà non sempre è sinonimo di autentica gratificazione. Tante volte l’euforia cede il passo alla disforia. Mi guardo intorno e ovunque Eros mi appare come Icaro. Il desiderio di volare precipita inesorabilmente, trascinato nel vuoto da ali troppo fragili per sostenere il “peso” della persona.

Povero Eros, sbattuto in sala pesi e sala fitness pure tre volte a settimana, sacrificato tra diete e trattamenti di bellezza, potenziato con i rimedi innovativi della medicina, conformato ai modelli patinati delle tendenze modaiole, ammodernato dai consigli e dai corsi degli esperti!


È così che Eros prende la rincorsa, si lancia…ma rimane a mezz’aria, non spicca il volo!


Il sesso parrebbe il motore di tutto e i rimandi sessuali imperversano in tv, nel marketing, in ufficio…ovunque! Tutti lo vogliono, tutti lo cercano … e intanto c’è un diffuso calo del desiderio e l’erotismo è sempre più stereotipato.

Per di più sempre più spesso, all’interno della sessualità vissuta e agita, ci si sente soli, delusi, insoddisfatti. In tanti reagiscono inventandosi “pellegrinaggi” alla ricerca di sensazioni nuove, più forti, trasgressive. Altri si spingono oltre, sperimentando situazioni sessuali varie: aumentano il “numero dei partecipanti”, ricorrono a sostanze o strumenti a supporto, tentano pratiche estreme e bondage, “provano” l’altro orientamento sessuale…

La sperimentazione è una buona strada per esplorare i confini del proprio erotismo ed affinare la sintonia con se stessi e con gli altri. Ma diventa un vicolo cieco se è usata come fine a se stessa. Sperimentare e sperimentarsi è un percorso continuo che però non va scisso da un desiderio vivo e animato, dal mettersi in gioco, dall’esserci come persona.

L’erotismo precipita, nei rapporti stabili come in quelli occasionali, quando non si ha confidenza con se stessi e capacità di guardare l’altro. Quando il corpo è vissuto in modo automatico e il piacere è ridotto alla scarica pulsionale.


Eros invece vuole volare alto!


Ci vuole passione, partecipazione, ironia, energia. Ci vuole gioco, intrigo, sorpresa, abbandono.

Eros intreccia la creatività, la fantasia e l’immaginario interno con i sensi, la pelle, la carne. Esalta la personalità individuale attraverso il calore, il movimento, il linguaggio del corpo sessuato. Connette all’altra persona attraverso un piacere condiviso, che unisce e fa impazzire, perdersi insieme ed estasiarsi.


Restituisci le ali al tuo Eros, prenditi questa libertà!


sabato 19 aprile 2008

Soddisfazione professionale

Si vive per lavorare o si lavora per vivere?

Una questione mica da poco? Intanto è la domanda che, con crescente frequenza, mi pongono figli, partner, amici e genitori, riferendo la preoccupazione - e spesso la disapprovazione! - circa lo stile con cui si affronta il lavoro oggigiorno. E intanto i fatti descrivono l’aumento di relazioni di coppia trascurate, figli affidati alle cure di baby sitter o “nonni a tempo pieno”, rapporti interpersonali sempre meno intimi, tesi invece a “creare/mantenere una rete di contatti”. Sembra questo lo scenario, sempre più diffuso, nel concorrenziale e sfidante mondo professionale.

Le considerazioni possibili sono tante e si orientano in diverse direzioni. Innanzi tutto va considerato che, negli ultimi decenni, si sono trasformate le leggi del mercato (implicazioni politiche e sociali) e hanno subito un incredibile stravolgimento i modi in cui si lavora (implicazioni scientifiche e tecnologiche). Senza entrare nel merito di questi aspetti, voglio sottolineare che ci sono ricadute estremamente significative nelle vita di tutti i giorni: si è modificata la cultura del lavoro!

Ne deriva che le persone più mature accusano il disagio di un mondo che “cambia troppo in fretta”: sentono di non capirlo e di non riuscire a stare dietro a tutte le innovazioni che comporta. Fanno difficoltà ad integrarsi e si sentono “tagliate fuori” in quanto non competitivi rispetto alla concorrenzialità rappresentata dai giovani. Questi, invece, “figli naturali” della “cultura madre”, non solo fanno parte del sistema, ma lo incarnano essi stessi: business, conquista di segmenti di mercato, strategie di retention, innovazione continua…

Si osserva come la cultura del mondo del lavoro viene talmente assorbita che entra nelle logiche di pensiero anche della vita privata!


E hai notato come, intanto, le differenze di genere sul piano lavorativo, anche le più tradizionali tra maschi e femmine, si sono incredibilmente assottigliate?


La questione è più preoccupante quando i confini tra vita professionale/vita affettiva si assottigliano e non si riconoscono differenze di atteggiamenti, vissuti, stili di pensiero e comportamenti proprie delle due dimensioni. La questione è ancora più preoccupante quando la “persona” diventa prevalentemente o esclusivamente “lavoratore”. La questione è patologica quando decade la capacità di autoregolazione, in modo consapevole ed intenzionale, rispetto ad una riorganizzazione della propria esistenza.


Ma come mai, secondo te, si sviluppa una dipendenza da lavoro?


martedì 15 aprile 2008

Dipendenza affettiva tra adulti

Che si stia in coppia o si sia single, c’è un tema veramente infelice rispetto alle relazioni d’amore: sentirsi dipendenti dall’altro!

Pare che di questi tempi “la dipendenza” sia connotata in modo esclusivamente negativo, mentre nella mente di ciascuno di noi albergano interpretazioni degenerative come “sottomissione”, “inferiorità”, “debolezza”, “passività”, “rinuncia”…

In realtà il termine “dipendenza”, nel contesto delle relazioni affettive, fa riferimento sia ad aspetti sani del funzionamento psichico, sia ad aspetti di disadattamento psicopatologico. Vanno fatte le dovute distinzioni! La spinta a stabilire legami di attaccamento è una componente funzionale della personalità. Investire in relazioni affettive connotate da affetto e accudimento, amicizia e fiducia, tenerezza e amore, contribuisce alla realizzazione di un buon adattamento psicosociale. I piccoli riconoscono di dipendere dai grandi e vi si affidano: quanto è importante rispondere facendo loro del bene!
Nelle relazioni tra adulti è fondamentale la disponibilità a prendersi cura dell'altro ma anche di saper ricevere le stesse attenzioni. Io dico spesso che, pure in questo aspetto, ci aiuta mantenere il contatto con il nostro "bambino interiore"! Quando si raggiunge una condizione di fiducia e di intimità significative, è possibile condividere e regalare all'altro i nostri lati più bisognosi, incompleti o vulnerabili. Anche qui, quanto è importante ricevere del bene!
Quando, invece, un adulto ricerca costantemente una o più figure preferenziali di riferimento, verso cui palesa atteggiamenti e comportamenti mirati ad ottenere assistenza, guida e approvazione, potremmo ipotizzare che si tratti di una forma di “dipendenza relazionale”. Tale forma di dipendenza può limitare anche gravemente la persona in quanto nega le basi della parità e della reciprocità nelle relazioni interpersonali e in quelle intime.

Sei una persona che ha un rapporto esclusivo, chiuso e totalizzante col partner, con l’amico/a o con “mammà”? Oppure sei il partner, l’amico/a o “mammà” di una persona che ti considera il suo principale/unico punto di riferimento?


In entrambi i casi cerca di renderti conto se sei coinvolto in una dinamica di dipendenza affettiva! Se questo tipo di dinamica è molto evidente, con il tempo non ci si sta più bene, non si cresce, ed il rapporto affettivo può degenerare pesantemente! Le persone che tendono alla dipendenza relazionale possono sviluppare una “dipendenza affettiva” nel rapporto di coppia, in cui il collante di fondo è l’appagamento dei bisogni psicologici ed affettivi di amore, stima, protezione, rassicurazione, cura, supporto…

Cerchiamo di capirci di più! In generale, le persone "dipendenti” tendono a non prendere decisioni da soli e adottano comportamenti che aderiscono alle aspettative altrui. Non amano assumere ruoli e responsabilità. Desiderano ricevere indicazioni, conferme e rassicurazioni, nelle decisioni importanti come nelle questioni più banali o di scarsa importanza. Gli individui dipendenti possono apparire, nelle situazioni sociali, gradevoli e gentili, remissivi e tranquilli, chiusi ed inibiti. Si adattano alle persone che sentono più vicine, trasformandole in una specie di modelli di comportamento. Nel rapporto di coppia tendono ad idealizzare il partner e possono chiudersi rispetto ad altri contatti interpersonali. Possono assorbire idee, modi di fare, interessi, opinioni, ecc. dal/la compagno/a. Ne ammirano le doti di carisma, forza, sicurezza, fascino, decisionalità - indipendentemente che siano presenti tali qualità: loro le vedono! più profondamente si sentono legati al partner per il fatto stesso che li hanno presi in considerazione – indipendentemente che abbiano stabilito un legame intimo e sincero o un rapporto superficiale e manipolativo. Tendono ad accettare qualunque cosa dal partner pur di non perderlo. Evitano i contrasti, non esprimono in modo diretto sentimenti e comportamenti aggressivi, nelle situazioni conflittuali soccombono, rinunciando all’affermazione personale o ad aspetti vari della propria soggettività. Possono anche condurre una vita apparentemente equilibrata ma finché riescono a mantenere la dipendenza affettiva da cui traggono la “forza” per funzionare adeguatamente.

Allora, ripensando al tuo rapporto di coppia, ti ritrovi in una dinamica simile? Quanto è vaga o marcata questa dipendenza affettiva? Sei tu o il tuo partner la persona che manifesta una dipendenza affettiva?

venerdì 11 aprile 2008

Relazioni affettive



…ho impiegato un po’ di tempo ad accertarmi di cosa si parli esattamente quando ci si riferisce alle relazioni affettive. Si possono intendere ambiti particolari che vanno dalla “prima storia d’amore” (classicamente la relazione madre-figlio!) ai rapporti tra adulti , focalizzandosi sui temi o dell’amore o della sessualità.

In questo contesto, con maggiore congruenza con la definizione di “relazioni affettive”, voglio riferirmi a tutti i rapporti interpersonali che sono connotati da un legame di attaccamento. La prospettiva si allarga e se ognuno di noi pensa a quante persone vuole bene (e viceversa) si riscopre in una rete di relazioni affettive.

Ma cosa “definisce” una relazione affettiva? Quando pongo questa domanda, raccolgo facilmente risposte affini tra loro: “i sentimenti di amore”, “il rispetto”, “poter contare sulla presenza dell’altro”, “aprirsi e comprendersi a vicenda”, “sentirsi uniti e stare bene insieme”…

Queste risposte sono piacevoli conferme, per me. Dimostrano le chiare idee che, almeno sul piano della conoscenza, le persone manifestano su come dovrebbero essere le relazioni affettive! Sul piano della pratica, però, può verificarsi anche altro. Le risposte sopra riportate focalizzano alcune modalità (soltanto tra quelle positive) che possono caratterizzare una relazione affettiva, indipendentemente che si tratti di un rapporto tra genitori e figli, amici o partner.

Io ritengo che vi sia una relazione affettiva tra due persone quando sussiste una connessione di interdipendenza sul piano relazionale e sul piano emotivo. In questo senso va considerato che due persone possono essere collegate da un legame di attaccamento in modo gratificante. Ma può anche accadere che la relazione sia stata positiva un tempo e che nel presente non lo sia più! Può trattarsi di un "periodo" o di una vera e propria evoluzione del rapporto. Questo è spiacevole ma ne facciamo tutti esperienza quotidianamente.

Nella vostra esperienza, quando il rapporto con il genitore, l’amico o il partner è sfibrato e le emozioni prevalenti sono di rabbia, insofferenza o avversione, ritenete di avere ancora una “relazione affettiva” con quella data persona?

Diversamente dalla precedente domanda, a questa ricevo invece risposte molto discrepanti. Molti non ne sono più così sicuri o riferiscono di non sentirsi più legati! “Legati” positivamente, aggiungerei!

Infatti, per autodifesa, tendiamo a prendere le distanze dagli altri, emotivamente e fisicamente. Nella vita vissuta capita a tutti che le relazioni su cui facciamo affidamento presentino dei lati spiacevoli (pochi o molti) che comportano confusione, noia, ansia, conflitto interiore o insicurezza.

In effetti le relazioni nascono, crescono e possono evolversi in modo diverso dalle nostre aspettative.

A volte lo avvertiamo lentamente. Ogni giorno un po’.

A volte ce ne accorgiamo improvvisamente. In un solo giorno tutto insieme.

Comunque, quando ce ne accorgiamo, qualcosa è cambiato!

Ma, secondo voi, questa consapevolezza, quando arriva, è sufficiente a farci sottrarre dalla relazione con l’altro?

Non ho più un legame con mia madre”, “Più niente tra me e mia moglie!”, “Mi sono distaccata da mia figlia”, “Non sono certo legata al mio ragazzo”, “Non c’è mai stato rapporto con mio padre”, “Proprio il mio migliore amico…mi ha deluso!”…

Continuamente si ascoltano frasi così. Un ascolto attento rivela che le persone sono arrabbiate o inquiete, dure o mortificate, chiuse o aggressive, più di quanto non diano a vedere. In verità le relazioni affettive si trasformano, in bene o in male, perché i singoli individui si evolvono con le fasi della vita, con il contesto e con le esperienze. Occorre questa consapevolezza per risparmiarsi qualche amara ferita. Quando questa manca, possono prevalere atteggiamenti rigidi, tesi a cristallizzare i rapporti. Così le relazioni affettive rischiano di diventare delle “gabbie che imprigionano” e “trappole che vincolano”. Per contro in molti reagiscono con atteggiamenti leggeri, mirati a non legarsi nei rapporti affettivi. In questo modo neanche si stabiliscono contatti autentici e nelle relazioni ci si sta “ad intermittenza”.

Le parole che ho per incoraggiare è che le relazioni affettive vanno costruite con flessibilità, come un abito cucito addosso a quattro mani con tessuti elastici che si adattano alle differenze individuali, che scendono morbidi, fanno respirare e consentono movimenti ampi.

La complicità che va sostenuta nel tempo è quella primaria di soddisfare i bisogni di appartenenza e di libertà di entrambi, di crescere insieme e per contro proprio. Di avere spazi comuni ed individuali. Di essere in contatto e di starsene in ritiro. Il tutto compreso entro una relazione capace di sostenere queste alternanze.

Rinnovare la ricerca di questi equilibri è una buona chiave di successo che consente la qualità delle relazioni e nell’individualità, come genitori, figli, amici e partner.


Qual è il tuo bisogno fondamentale? Sentire che “sei di qualcuno” o “sentirti libero”?

Quale sentimento è essenziale per te per sentirti legato ad un’altra persona?

Cosa può spezzare, in te, il legame d’affetto? E come ti allontani dalle persone…?

mercoledì 9 aprile 2008

Ansia

“Che ansia!”

Ma quando paliamo di “ansia” a cosa ci riferiamo esattamente? Il nostro parlare comune è ricco di espressioni e sinonimi che descrivono il modo in cui ci si può sentire: preoccupato, agitato, in apprensione, nervoso, inquieto, schiacciato, angosciato, spaventato, terrorizzato, in allarme, oppresso… impanicato!

Non do mai per scontato di sapere cosa prova l’altro quando mi dice “sto in ansia” in quanto le connotazioni sono svariate e, soprattutto, voglio comprendere se è un modo di dire, se c’è uno stato d’ansia “normale”, se mi trovo davanti ad una condizione di sofferenza psicofisica. Già, perché l’ansia la sperimentiamo a più livelli: coinvolge l’emotività, attiva il piano sensorio-corporeo, comprende una serie di immagini, pensieri e di dialoghi interni.

Comunemente la identifichiamo come un vissuto simile alla paura. Si tratta di una condizione psicologica caratterizzata da preoccupazione, inquietudine ed agitazione senza un motivo apparente. Sensazioni di essere “chiusi”, “pressati”, “messi alle strette”, “spinti in un angolo” da fatti, persone, circostanze, forze di cui non si ha una percezione chiara e precisa… queste le suggestioni che ritornano più frequentemente. L’etimologia stessa del termine ci indica una buona comprensione dell’ansia: dal latino significa “sentirsi preoccupati rispetto ad un evento incerto” mentre il rimando originaria dal greco corrisponde a “strangolare” o “spingere forte”.

Osservare una persona che prova ansia significa guardare lo stato tensionale che sta sperimentando. Vi è sempre un substrato di tensione che è connesso ad uno stimolo ansiogeno, che sia interno o esterno alla persona, vale a dire un accadimento imprevisto e spiacevole o una aspettativa negativa. Va precisato, tuttavia, che la tensione psicofisica in se stessa non è un problema perché può essere percepita anche positivamente. Molte persone, infatti, sono attivi nella ricerca di situazioni di tensione in quanto ne traggono piacere. Ansia e tensione vanno viste, capite e valutate caso per caso. Basti pensare al “brivido” che si prova nelle situazioni rischiose e tendenzialmente pericolose, condizione tensionale al limite tra la piacevolezza e la sgradevolezza. Vi sono persone che sono attratte dalle cosiddette “attività adrenaliniche”, in cui è predominante l’eccitazione, talvolta anche a tratti euforici! Esse traggono piacere dal fatto di sentirsi in grado di padroneggiare le proprie emozioni e capaci di “avere il controllo” della situazione.

L’ansia non è una esperienza intrinsecamente negativa. Naturalmente assolve ad una funzione protettiva quando favorisce risposte di adattamento della persona.

Quando, invece, è molto intensa diventa paralizzante, danneggia la condotta alterando la capacità di finalizzare le proprie azioni, stravolge lo stato di benessere e l’equilibrio personale. Questo meccanismo è particolarmente evidente nella cosiddetta “ansia da prestazione”, comunemente sperimentata prima di un esame o di un colloquio di selezione: nota drammaticamente a chi, tra le lenzuola, ha una difficoltà sessuale, nell’intimità di una relazione affettiva stabile o in un’avventura occasionale. Tuttavia, quando l’ansia è moderata sortisce un effetto contrario rispetto a quelli appena citati: ha la funzione di allertarci, spronarci e farci attivare in modo lucido nella condotta. Così le prestazioni ne risultano migliorate in quanto manteniamo uno stato permanente di attenzione, siamo presenti nella mente e puntuali nel comportamento. Un discreto stato tensionale, che non superi la soglia soggettiva di contenimento dell’ansia, definisce i limiti soggettivi della funzionalità/disfunzionalità dei propri stati di tensione ansiosa. Per comprendere come siamo fatti da questo punto di vista è importante osservare e conoscere gli stati fisiologici, il sistema di immagini e le reazioni comportamentali si producono in noi quando avvertiamo ansia.


martedì 8 aprile 2008

Eros e Psiche

Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Raffaele Bifulco


L’amore si fa con la testa o con il corpo?

Meglio godere o far godere?

Cos’è la compatibilità sessuale?

Sesso e amore son due cose separate?

Tradire fa rivivere la coppia spenta?

Mi piace...ma se poi a letto non ci troviamo?

Contano la morfologia dei genitali o saperci fare?

Ma è vero che l’autoerotismo e il cybersex fanno male?

Mi devo preoccupare se mi eccito solo con le trasgressioni?

Esistono i ruoli attivi e passivi nella coppia e nel sesso?

Ci provo anche se non sono al suo livello?


Vediamo un po’… quanti di noi non si sono posti almeno tre di queste domande o non si sono ritrovati almeno una volta a tentare di darvi risposta in una conversazione a due o in gruppo?

Troppe domande sulla sessualità rimangono senza risposta anche dopo che, maschi e femmine, si è oltrepassata il mitica frontiera della “prima volta”. E poi? ...ne sappiamo di più e ci sentiamo “a posto”!

Quante volte, per noi, “avere esperienza” significa consolidare uno stile di rimorchio, darci un ruolo nell’intimità, acquisire una gamma di comportamenti sessuali, arricchire il bagaglio delle competenze con strategie segrete per migliorare la prestazione sessuale! E mentre siamo presi dalla collezione dei successi personali e delle conferme degli altri, confondiamo l'Eros con il sesso e la pratica con la qualità!

È così che presento questo workshop seminariale, un’attività che ha la finalità di indicare nuove prospettive per partecipanti che desiderano vivere con maggior pienezza il proprio Eros. Gli stimoli iniziali sono rivolti a valorizzare le esperienze personali attraverso un contatto guidato verso la propria sensorialità. Evocazioni sonore, olfattive, tattili amplificano la consapevolezza dell’esperienza somatica ed indicano i confini ove si può arrivare…ed ulteriormente esplorare.

L’Eros non è un’esperienza finita ma un percorso continuo. Non è un aspetto consolidato di sé ma una passione sempre conquistabile. Descrive la sintesi sublime tra gli scenari infiniti dell’immaginario personale e le potenzialità espressive del corpo sessuato. È qui che si svela l’intima relazione tra Eros e Psiche! Il piacere erotico maturo abbraccia la stabilità dell’Identità Sessuale, la sicurezza di un Corpo complice, lo slancio di una Mente curiosa, la fiducia verso la Relazione che genera piacere condiviso.

Quali domande possono liberare in modo sano il tuo Eros?

Quali confini ti suggerisce di esplorare Psiche?

Quale metafora descrive per te la relazione tra Eros e Psiche?

Depressione

Il termine “depressione” si riferisce all’umore, il sottofondo emotivo con cui affrontiamo la vita ogni giorno. Si tratta di un termine evidentemente inflazionato che ritengo sia spesso utilizzato in modo improprio. L’umore depresso è egodistonico, ossia che non è vissuto piacevolmente dalla persona. È caratterizzato da emozioni di tristezza, stati d’animo di angoscia, senso di vuoto e demotivazione. Le persone che ne soffrono hanno atteggiamenti di pessimismo, svalutazione delle proprie capacità e del mondo esterno. Si sentono spente, senza energia ed interessi.

Vi sono altri sintomi associati che spaziano dall’insonnia all’ipersonnia, dalla perdita all’incremento dell'appetito e del peso corporeo; vi è mancanza di volontà diffusa, apatia, tendenza a isolarsi dalla società e dagli affetti; l’anedonia è uno degli aspetti più difficili in quanto comporta l’assenza di piacere che può derivare dalle esperienze della vita, anche da quelle che, tipicamente, ne sono fonte principale come fare l’amore o mangiare; si registra un calo sensibile della stima di sé e, per contro, la presenza di sensi di colpa; sono tipiche le percezioni di stanchezza ed affaticamento eccessivo in seguito a minimo sforzo, fisico o mentale; la concentrazione, il mantenimento dell’attenzione, la ritenzione dei ricordi tendono a diminuire mentre le prestazioni comportamentali più abituali sono affrontate con sforzo, pesantezza…fino al punto di rinunciarvi.

La depressione invade come un’ombra tutti gli ambiti della vita di una persona: la dimensione sociale, affettiva, lavorativa…
A seconda della durata e della gravità la distinguiamo in “episodio depressivo” o “depressione maggiore.

Le cause che scatenano una sindrome depressiva possono essere diverse. In molti casi all’origine vi sono alterazioni chimiche a livello cerebrale, per esempio, l’abbassamento dei livelli di serotonina, un neurotrasmettitore presente nel cervello che è coinvolto nei meccanismi nervosi che riguardano il sonno, la percezione sensoriale e vari comportamenti. In molti casi di depressione si riscontra l’evidenza di predisposizione familiare. È frequente la “reazione depressiva” – la cui gravità può variare – che si manifesta in seguito ad un evento traumatico come un lutto, un incidente, un’esperienza di violenza o di abuso. Ma anche una condizione di vita logorante può provocare uno “spegnimento” della persona.

Per spiegare l'insorgenza di un episodio depressivo è importante comprendere che ciascuno di noi è un sistema complesso. Occorre avere uno sguardo altrettanto complesso, che sappia cogliere le molteplici sfumature della vulnerabilità e del potere personale, degli eventi destabilizzanti e delle esperienze edificanti della propria storia di vita.

Uno sguardo complesso è uno sguardo particolare. Allora “la depressione” si trasforma, assume un volto preciso che ha i connotati della persona. Non ci sono più sintomi ma espressioni di una illusione che si è frammentata, di un copione di vita autodistruttivo, di una rabbia repressa per anni, di un dolore lacerante e mai confessato a nessuno.

Ci sono momenti in cui la depressione la vedo tutta, nella sua inimmaginata aggressività, negli occhi di chi si trascina e mi chiede: Perché? Nell’intimità che si crea di momenti come questi, nella relazione con l’altro, il primo messaggio che trasmetto è la speranza.

lunedì 7 aprile 2008

Identità e Potere del Corpo


Workshop esperienziale
condotto dal dott. Raffaele Bifulco


Le persone arrivano a questo workshop con le idee più diverse. Il titolo suscita evocazioni tra le più disparate e tutti esprimono all’inizio un senso di attesa e curiosità. L’esperienza prevede una prima fase di rilassamento con cui inizia un viaggio esplorativo “interno”. Dal respiro alle sensazioni, dalle immagini alle emozioni...fino contattare il proprio vissuto corporeo.

Ognuno compie un percorso personale. Sin da quando eravamo piccolissimi i grandi ci “definivano”. Spesso, per qualche caratteristica somatica, siamo stati identificati come qualcun altro. In adolescenza il nostro aspetto era inevitabilmente sottoposto alle valutazioni di un gruppo. Così la necessità di difendere l’immagine a volte ci ha allontanato ancora di più dal sentirci, riconoscerci e viverci dal di dentro. Per poi proporci all’esterno con la consapevolezza di chi siamo.

Alcuni partecipanti hanno detto: “Nel corpo mi sento”, “Attraverso il corpo mi percepisco e mi esprimo”, “Io sono il mio corpo”.

Ritornare all’esperienza corporea permettere di riscoprire la propria identità. Il corpo ti racconta qual è la tua energia, cosa provi, come reagisci, cosa fare, come sei fatto, cosa avverti, come ti modifichi, dove vuoi andare…
La tua storia è inscritta nel tuo corpo, che ne conserva le tracce. La tua memoria è lì. Il suo potere ti svela le prospettive del tuo potere personale.

Siamo così condizionati a tenere il nostro “rivelatore di identità” su off e a stare accesi per recepire ogni minimo segnale che arriva dall’esterno! Quante volte ci sentiamo a nostro agio solo se riceviamo conferme dagli altri? È importante certo, ma non sano se è a totale discapito dell’ascolto di se stessi! In questi meccanismi ha radice una trappola pericolosa, ma voglio chiedervi:


Chi ha più potere nel definire la nostra Identità, la Mente o il Corpo?
È il Corpo che influenza la Mente o il contrario?
Ma soprattutto, Mente e Corpo sono aspetti diversi della nostra Identità?

martedì 1 aprile 2008

Una perla...

Chi è la Persona?

...è un essere unico e dotato di qualità, creativo e protagonista della propria esistenza. Che si muove nel mondo, in sintonia con se stesso e con gli altri, verso la l'autorealizzazione. Che è in relazione con sé e con tutto ciò che altro da se stesso, persone ed esperienze, che fanno parte della sua storia.

Cosa c'è di Prezioso?

L'essere unico

La passione

La propria storia e il proprio futuro

Un legame speciale

Il corpo che vibra

Emozionarsi ancora

Il sogno da realizzare

Esprimersi autenticamente

Scoprire ogni giorno il senso...

Come Crescere di Valore?

Il nostro percorso racconta di noi. Nel percorso già siamo, ci trasformiamo, diventiamo sempre altro e di nuovo siamo... è nel percorso di vita che cresciamo e per questo valorizzare il nostro percorso di vita, passato e futuro, significa valorizzare noi stessi.

Nel pecorso incontriamo amici e nemici, sia fuori, sia dentro di noi, che ci aiutano o ostacolano le possibilità di esprimere noi stessi e dare forma alle nostre potezialità ed aspirazioni. In realtà tutti abbiamo la capacità di superare creativamente le difficoltà insite nel nostro percorso. Per questo motivo non penso alla persona e alle sue esperienze di vita rigidamente nei temini di sano/patologico; voglio, invece, valorizzare il mondo interno e l'originalità di chi davanti, riconoscendo insieme i suoi talenti e le sue più intime aspirazioni.

La finalità ultima è di sostenere la persona nel raggiungimento del proprio benessere, inteso in senso olistico:

· intervenendo sui fattori di rischio con azioni mirate di cura e recupero del disagio personale e sociale;

· rinforzando le competenze individuali e valorizzando le risorse disponibili per ulteriori prospettive di sviluppo.

Aree di intervento e proposte

Coerentemente con tale visione, è per me essenziale distinguere e rispondere in maniera specifica alle domande e alle diversità dei miei interlocutori. In questo senso le risposte e i servizi che offro si estendono dalla cura alla promozione del benessere. Le attività sono rivolte all'individuo singolo, alla coppia, alla famiglia, ai gruppi, diversificate in quattro in macro-aree fondamentali.

Psicologia clinica e psicoterapia

L’Area comprende prima di tutto l'incontro della persona, l'accoglienza, l'ascolto, l'empatia. Tecnicamente è prevista l'analisi della domanda, la psicodiagnosi, la progettazione di intervento psicoterapeutico, i servizi di psicoterapia per coloro che esprimono un disagio personale e/o relazionale, la richiesta d'aiuto, il desiderio di star bene. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· consulenza/psicoterapia individuale;
· consulenza/psicoterapia di coppia;
· consulenza/psicoterapia familiare;
· consulenza/psicoterapia di gruppo.

Formazione e gruppi esperienziali

L’Area comprende la progettazione e l'erogazione di corsi brevi di formazione e percorsi esperienziali a termine rivolti a piccoli gruppi. I temi trattati sono mirati a rivisitare gli aspetti più significativi del prprio percorso di vita, fornendo nuove chiavi di lettura e stimolando soluzioni alternative di comportamento. Il 'gruppo' e le 'esperienze' sono leve strategiche per aumentare la consapevolezza di sè, la rivalutazione delle proprie risorse inespresse, l'attuazione di comportamenti efficaci rispetto ai propri obiettivi. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· singole
iniziative e corsi brevi di formazione;

· percorsi esperienziali in gruppo (con eventuali incontri individuali) per lo sviluppo personale e relazionale.

Sessuologia e relazioni affettive

L’Area comprende il lavoro sullo sviluppo e sul consolidamento di una sessualità sana e vissuta con sintonia e gratificazione. Si tratta indubbiamente di una componente centrale per il benessere e per l'equilibrio affettivo e relazionale dell’individuo. La sessualità umana è complessa in quanto legata all’intreccio di fenomeni biopsichici e di fattori socioculturali. Per questo l'adattamento sessuale è un processo in divenire che si estende per tutto l'arco della vita. In alcuni momenti possono emergere ritardi, incertezze e difficoltà che meritano attenzione. La proposta sessuologica è una risposta competente e mirata alla valutazione delle componenti bio-psico-sociali del comportamento sessuale in vista del miglioramento della qualità del piacere erotico e delle relazioni affettive. Le finalità possono essere di prevenzione, cura e valorizzazione del benessere dell'individuo e/o della coppia. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· diagnosi e consulenza sessuologica;
· trattamento sessuologico individuale;
· trattamento sessuologico di coppia;
· workshop esperienziali in gruppo su tematiche afferenti alla sessualità, alla affettività e alle
dinamiche relazionali di coppia.

Sviluppo e promozione del benessere

L’Area comprende una serie di iniziative che sono rivolte a coloro
che operano nel campo della salute, del benessere psicofisico, delle relazioni d’aiuto, della scuola, della comunicazione e a tutte le persone che cercano stimoli, novità, strumenti e nuove conoscenze per migliorare la qualità della propria vita. Oggi, più che in passato, è fondamentale saper riconoscere gli scenari in cui ci muoviamo e i mezzi di cui disponiamo: il piacere, il benessere e l'autorealizzazione richiedono la capacità di mettersi in contatto con se stessi e con gli altri. Attravesro la metodologia gestaltica sono proposte attività pratiche, semplici ed efficaci, finalizzate a stimolare apprendimenti e prospettive nuove e personali. Gli input raggiungono le diverse dimensioni dell’esperienza umana, quali l'immaginazione, il corpo, il pensiero, l'affettività, ecc. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· gruppi di incontro esperienziali;
· gruppi di sensibilizzazione e divulgazione;
· workshop tematici;
· corsi di training autogeno.