venerdì 30 gennaio 2009

Complicità

L’esperienza terapeutica, in parte confermata da quanto emerge in relazione agli ultimi due articoli che ho pubblicato, rimanda ad una questione che rigiro a tutti voi:

che cos’è la complicità?

A questo punto ognuno parte con le proprie proiezioni! Positive ed idealizzate. O anche negative e disfattiste. I più ottimisti ritengono che la complicità sia una specie di sintonia magica che si crea sin dal primo momento tra due individui che non si conoscono ma che sentono di essersi “ri-conosciuti”. I più prudenti dichiarano che è il frutto di una conoscenza reciproca approfondita e di un lungo periodo di esperienze vissute insieme. I più delusi dalla vita negano che esista e che, se dovesse verificarsi, è soltanto un accordo emotivo tra due persone, dovuto ad una combinazione favorevole di bioritmi, ormoni o eventi esterni.

L’argomento merita una attenzione che vada oltre le sole esperienze personali! In primo luogo occorre distinguere il contesto di riferimento:

la complicità è una precisa connotazione della relazione che può esistere tra due persone e riguarda diverse dimensioni esistenziali: l’aspetto emotivo ed affettivo, le capacità conoscitive e critiche, la sfera degli obiettivi di vita e dei valori!

La complicità, di per sé, può svilupparsi tra persone dello stesso genere o di sesso opposto. Può riguardare persone che lavorano insieme o che, in qualche modo, condividono la vita privata. Si sviluppa tra persone che sperimentano una intimità affettiva e sessuale, indipendentemente dalla personalità, dalle esperienze di vita, dall’orientamento sessuale, ecc.

Sentirsi complici è una esperienza del tutto speciale!

Innanzi tutto perché, da un punto di vista emotivo ed immaginativo, ci fa sentire accettati dall’altra persona e molto vicini, come se si fosse in un luogo lontano dove gli altri non ci possono raggiungere.

In secondo luogo perché, da un punto di vista cognitivo e progettuale, ci da la netta percezione di una comprensione reciproca precisa e che si è in pieno accordo su quello che si desidera e che si vuole raggiungere insieme.

In terzo luogo perché, da un punto di vista psicologico e motivazionale, ci fa sentire pieni di energie vitali, creativi, espressivi, curiosi, attivi, imprevedibili… anche un po’ “bambini” e un po’ “matti”!

Ma come si sviluppa una complicità, dal punto di vista psicologico?

Le motivazioni e le dinamiche che possono svilupparsi tra due persone possono riflettere una relazione equilibrata, in cui l’altro rappresenta un arricchimento alla propria vita. In questo senso la complicità esprime la maturità e la libertà interiore di entrambi, le facoltà critica e di scelta, la capacità di condividere e spendersi per obiettivi ed ideali comuni.

Tuttavia la complicità può essere anche espressione di una “relazione a incastro” , in cui due individui si completano attraversi aspetti del proprio essere. Questo tipo di dinamica a volte è consapevole e a volte no. A volte assume un valore costruttivo, altre volte svolge una funzione compensativa. Il rispecchiamento ed il completamento di sé insieme all’altro può costituire per due persone un percorso di crescita interpersonale, di realizzazione e di sana complicità. I problemi nascono se l’altro rispecchia una illusione del proprio Io…




Ti sei mai sentito così con qualcuno?
Da che cosa dipende, per te, il sentirsi complici?
In che modo esprimi al meglio il tuo “essere complice”?