venerdì 30 maggio 2008

Separarsi


In questi giorni mi avete chiesto in molti di scrivere perché tante coppie non superano le loro crisi e si separano. Nell’esperienza di tutti è presente la percezione che le relazioni d’amore non sussistono come format precostituiti o come percorsi prestabiliti o come contenitori universali in cui si riversano le individualità di due persone che stanno insieme!

Dall’innamoramento all’amore, dall’idealizzazione alla conoscenza profonda, dallo slancio iniziale alla scelta matura è sempre presente un appello che riguarda la coppia come il singolo individuo: essere presente!

L’individualità necessita continuamente di realizzare un incontro con l’altro, per riconoscersi come coppia. Ma anche per comprendere come noi stessi cambiamo ogni giorno o come l’altro si comporta di fronte alle circostanze. Questo ha necessariamente delle ricadute sulla coppia.


Novità e imprevisti, delusioni e mortificazioni, leggerezze e monotonie, seduzioni e distanze, difetti e obblighi percepiti, abusi e potere mal distribuito…
Cosa aggiungeresti tu alla lista dei motivi per cui si va in crisi?


Quando sopraggiungono determinate “novità”, se non vengono adeguatamente “elaborate” ci si può comunque continuare a voler bene, a sentirsi legati, a stare insieme ma, a livello emotivo, inizia una separazione.

Le relazioni d’amore devono poter disporre sempre di soluzioni di continuità ed evolversi di volta in volta in maniera costruttiva per entrambi i partner. Quando questo non accade può subentrare una crisi individuale o di coppia. I tempi e il finale possono essere più i meno lunghi e più o meno lieti!

In generale, modificare un rapporto di coppia o uscire da una relazione d’amore è complesso in quanto vi sono tutta una serie di storie, di scambi, di promesse, di esperienze che si sono condivisi in due per un arco di tempo (almeno soggettivamente significativo). Molti temono la separazione proprio perché, quando si è sperimentato un importante sentimento di unità con qualcuno, vorrebbero recuperarlo invece di rischiare di non ritrovarlo mai più se cercato altrove.

Il cambiamento e la separazione spaventano e possono far male. Cambiare o separarsi, in primo luogo, è un passaggio interiore, che può riguardare un progetto personale, un’abitudine consolidata, una persona amata e che comporta anche una trasformazione di sé. In secondo luogo si tratta è un processo di riadattamento esterno, che richiede nuove logiche di pensiero, di azione e canalizzazione delle proprie energie.

Il paradosso maggiore è che pare bisogna essere uniti per separarsi bene!

Invece nessuno ci insegna a separarci. La separazione rimanda alla paura di rimanere soli, uno dei fantasmi più atavici della nostra vita. Molte difficoltà, sofferenze ed ingiustizie si verificano nelle relazioni affettive perché vi sono ambiguità sul piano relazionale ed ambivalenze sul piano affettivo.

Hai mai versato lacrime indimenticabili per la fine di un amore?
Hai provato il tormento per le cose non dette?
Hai ripiegato in nuove relazioni senza aver mai elaborato e chiuso interiormente il precedente rapporto?
Oppure hai subito questo dal tuo partner?

Le relazioni affettive rappresentano un'opportunità. Un'opportunità di crescita! Essere uniti, trovare nuove forme di adattamento o separarsi sono tutte esperienze che possono essere vissute in maniera insana oppure edificante.

Occorre maturare la capacità di stringere legami emotivi sani in cui vivere relazioni costruttive.

Cosa contraddistingue questi legami? L’intimità. Fin dalla nascita abbiamo l'esigenza di far coincidere il piacere con la ricerca delle relazione. Stare bene e costruire legami affettivi è una radice che va riscoperta e che coinvolge il codice biologico, psicologico e comportamentale di ciascuno di noi. Qui si svela la possibilità di superare la fobia del contatto o il terrore dell’abbandono e raggiungere la stabilità affettiva.

Quanto ti attrae e quanto ti spaventa l’intimità con un’altra persona?
Ti senti stabile affettivamente in questo momento della tua vita?
Vuoi raccontare la tua esperienza?

martedì 13 maggio 2008

Magari dipendesse da me!


Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Raffaele Bifulco



“Ci sono volte, al mattino, in cui nell’istante in cui realizzo che mi sto svegliando, che sta iniziando un nuovo giorno, mi si spezza il respiro. Per tutta la durata di quell’istante mi si ferma il cuore, come se in quel solo giorno si giocasse tutto il mio futuro. Allora mi alzo di scatto e faccio finta di niente.”

“Il momento più brutto della giornata? Quando inizia! Perché finisce la tregua e devo riprendere le armi per l’ennesima battaglia della vita quotidiana. Il solo fatto di stare sveglio significa “dover resistere”, allora cerco di dormire il più possibile, per riposarmi e abbandonarmi sempre un po’ di più…”

“Non ce la faccio! È la prima cosa che mi passa per la testa. E poi è come se mi sentissi bloccata, nel corpo, nella mente…che mi alzo a ffa’? Mi manca l’energia, l’emozione giusta per affrontare anche le cose più semplici. In realtà non vorrei una vita diversa, vorrei solo viverla diversamente…ma magari dipendesse da me!”


Quanto scoraggiamento rispetto alla possibilità che la nostra vita possa offrirci maggiori soddisfazioni! Ognuno di noi è sicuro che certe situazioni, certe persone, certi ambienti non cambieranno mai. Per quanto ci proviamo, ci arrabbiamo, ci adattiamo, profondamente ci sentiamo stanchi ed impotenti oppure delusi ed insoddisfatti.

Le reazioni note?

La rassegnazione, che produce un dialogo interiore che recita più o meno così: “Non ci posso fare nulla!”. Prevale una percezione di ineluttabilità nei confronti della vita e un sentimento di sfiducia verso la propria capacità di incidervi e migliorarla. Non si riconosce o ci si disappropria del proprio potere personale.

L’iperattività, una reazione di difesa contro l’atteggiamento passivo alle “costrizioni” che appiattiscono la personalità e i desideri. Molte persone fanno la “rivolta” in modo franco ma militano in una sorta di “resistenza” contro una vita opprimente: invece di adeguarsi ai ruoli e ai doveri affibbiati loro (da genitori, partner, figli, lavoro, ecc.) si riempiono la vita di attività di qualunque genere. Impegnatissimi e presissimi come sono, non hanno modo di sentire la frustrazione che li spingono a non fermarsi mai.

Una prospettiva nuova?

Mi ritrovo spesso di fronte a questo paradosso: per “uscire” dai meccanismi del proprio copione occorre “entrarci dentro”. L’autorealizzazione è una meta raggiungibile che si sviluppa in un percorso a tappe:

Ritornare a se stessi per rendersi consapevoli della propria identità, delle proprie mete più autentiche, delle proprie energie attuali e potenziali.

Entrare nelle propria emotività per recuperare la capacità di giudizio, di scelta e di gustare le esperienze affettive.

Collegarsi agli altri per esprimersi al meglio, agire con proprietà e significati condivisi negli scenari del presente e della vita futura.


E tu, quale immagine hai quando ti risvegli al mattino?
Sai dove andare per sentirti autenticamente realizzato?
Riesci a riconoscere le tue risorse ed utilizzare le opportunità intorno a te ?


venerdì 2 maggio 2008

Ansia patologica


L’ansia è una normale risposta fisiologica ad uno stimolo, interno o esterno alla persona. Non provare ansia di fronte a determinati stimoli sarebbe “patologico” tanto quanto sentirsi paralizzati in occasione di situazioni considerate generalmente non minacciose.

Ma quali sono le cause dell’ansia?

Vanno considerate le variazioni biologiche dovute al alterazioni del sistema noradrenergico e serotoninergico; infatti, le risposte emotive e fisiologiche dello stato di paura e di eccitazione hanno precisi meccanismi fisici, in cui sono coinvolte sia particolari aree anatomiche del cervello, sia precisi neurotrasmettitori quali, appunto, la serotonina e la noradrenalina. Dal punto di vista del carattere anche la tendenza all’inibizione, all’introversione e alla timidezza possono contribuire all’emersione di un disturbi d’ansia; coloro che reprimono sistematicamente emozioni negative quali la paura e l’ira, con il tempo, possono manifestare le predette modificazioni signifcative del sistema noradrenergico e serotoninergico.

In generale, di fronte ad una situazione di pericolo possiamo reagire tendenzialmente in un doppio modo: con la reazione di lotta o con la condotta di fuga. Da una parte rimanere immobili e muti. Dall’altra trasalire e scappare via urlando. In entrambi i casi viene prodotta una maggiore quantità di particolari ormoni che aumentano il tono muscolare, accelerano il battito cardiaco e la respirazione.

Quando tali reazioni non si producono, compare il vissuto psicofisico di ansia. Questa diventa ansia patologica se dura a lungo, non si è in grado di ricondurla ad un motivo scatenante, non si riesce a controllarsi e a calmarsi come si vorrebbe.

L’ansia spaventa. Le persone che ne hanno conosciuto il lato più feroce – il panico – imparano a temerla e a stare in allerta anche quando non è presente. Le persone si sentono molto accolte e quando sentono che capisco la loro paura della paura.

Per aiutare una persona a migliorare la sua capacità di gestione dell’ansia il primo passaggio, per me, è rassicurarla, spiegando che, se conosciuta, la propria ansia cambia volto! Così accompagno l’ansioso alla riscoperta di se stesso, innanzi tutto contattando il suo corpo ed imparando a riconoscere le modificazioni del respiro, del ritmo cardiaco ecc.

In questo modo l’ansioso può apprendere quale sia la sua soglia soggettiva di confine al di sotto e al di sopra della quale sperimenta un’attivazione positiva e/o negativa. È qui che prosegue l’affascinante viaggio di auto-esplorazione verso il mondo delle fantasie e delle percezioni che attivano e sostengono l’ansia patologica.


Quale fantasma arriva a spaventarti e non ti lascia più sereno?
Cosa dici a te stesso quando ti senti più piccolo di quello che può accadere?
Quali panorami non guardi più e a quali sentieri hai rinunciato?

Superare la dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva deriva da un profondo disagio e crea molti disordini. Nelle parole e nelle lacrime di queste persone ho incontrato il dolore di chi soffre di “vuoti” gravi nell’affettività e nell’identità; di chi, ogni giorno, avverte l’angoscia di una precarietà esistenziale tremenda, un profondo senso di insufficienza. Si tratta di una percezione di fragilità insostenibile. Per reazione ci si lega all'altro/a fino al punto di perdersi in lui/lei. é come se ci fosee una illusione di fondo, di ritrovare se stessi, di acquistare valore attraverso l'amato/a. Le conseguenze peggiori si evidenziano quando gli stessi partner, da parte loro, presentano disturbi psicoaffettivi perchè questo può generare interazioni estremamente patologiche.

La dipendenza affettiva può provocare dei circoli viziosi, a livello psichico e relazionale. Le persone sentono di non riuscire a sottrarvisi e che necessitano di aiuti esterni. In effetti la dipendenza affettiva caratterizza l’intera organizzazione psichica di un individuo, a diversi livelli: dal punto di vista motivazionale si crea una sorta di irrinunciabilità alla persona amata, percepita come la struttura di sostegno che la persona dipendente sente mancare in se stesso; dal punto di vista cognitivo la rappresentazione del mondo corrisponde alle convinzioni che "la vita è difficile, gli altri sono capaci di governarla, io sono un soggetto impotente"; dal punto di vista affettivo vi è paura, ansietà ed apprensione all'idea di funzionare in modo indipendente, svolgendo compiti e ruoli autonomi; dal punto di vista comportamentale si evidenziano una serie di azioni riparatorie, anche inconsapevoli, che servono a sostituire la relazione affettiva e a sopperire ai bisogni di aiuto, protezione e rassicurazione. tutti questi fattori concorrono a bloccare la persona in una relazione dipendenza affettiva, anche quando la persona soffre o si rende conto di quanto sia nociva.

Aiutare una persona con dipendenza affettiva? Per me, certamente non basta limitarsi alla valutazione dei fattori che minano l'equilibrio di un sano rapporto di coppia! Infatti, suggerire nuove modalità di comportamento è una strategia che non rappresenta la complessità delle relazioni umane e, soprattutto... non valorizza la ricchezza interiore di chi, invece, ha un’immagine così povera di sé! Bisogna però spingere affinché la coppia possa evolversi dalla fusione all'integrazione.

Le parole e le lacrime di queste persone rivelano una sensibilità che, se riesci guardarla, è sempre molto provata. In particolare da esperienze affettive precoci che sono state deludenti, incerte, ambivalenti, destabilizzanti, contraddittorie, desolanti. La simbiosi è una culla stretta che protegge. Occorre trasformare la fotografia statica in un film dinamico: dopo la nanna, arriva la pappa! Fuori da metafora, va recuperata la percezione che è possibile spingersi oltre i limiti della propria esperienza umana ed andare verso un ambiente affettivo autenticamente nutriente!


Su quale fotogramma è ferma la tua storia?
Come ci stai dentro questa scena?
Come vuoi che prosegua il film della tua vita?