mercoledì 30 aprile 2008

Sviluppo professionale

L’aspetto lavorativo è molto rilevante nella vita di un individuo: da un punto di vista pratico il lavoro costituisce la fonte di sostentamento e un mezzo di stabilità economica: se poi si ha una famiglia, ciò vale non solo per se stessi, ma anche per coloro che dipendono da colui/colei che lavora. Superando una lettura semplicistica, si capisce che il rapporto individuo/lavoro vede compresenti aspetti di natura biologica, psichica e culturale che rendono la questione molto più complessa.

Il lavoro può essere considerato come l’applicazione delle facoltà bio-fisiche, psichiche, conoscitive e prestazionali di un individuo alla produzione di un bene o di un servizio, al raggiungimento di un risultato tangibile, di utilità individuale o di un gruppo.

Voglio evidenziare che il lavoro implica che le persone continuino sempre ad apprendere, relazionarsi e comunicare! Perciò il lavoro non ha solo una funzione produttiva ma anche una fortissima valenza sociale e psicologica! Infatti, presentarsi come medico o agricoltore, avvocato o panettiere, professore universitario o attore, impiegato statale o artigiano, poliziotto o disoccupato …non solo descrive le attività di un soggetto (cosa faccio) ma definisce automaticamente la sua identità (chi sono).

Inoltre, dal punto di vista sociale, il lavoro definisce anche il ruolo con cui ci si propone agli altri, sia negli ambienti lavorativi che nella propria vita privata.


Ci avete mai pesato che il lavoro ha a che fare con tematiche come il successo, il prestigio, la visibilità, la considerazione…?!?


Penso a quante persone vivono un profondo disagio per il tipo di lavoro che svolgono o per l’ambiente in cui sono inseriti. Il dilemma che mi pongono “lo mollo o me lo tengo?” è… esso stesso un lavoro! La valutazione di tutti i fattori che implica una questione del genere richiede tempo, accuratezza e la capacità di cogliere i molteplici aspetti personali ed interpersonali della vita di un adulto.

Nei percorsi psicoterapeutici ritengo sia fondamentale una matura consapevolezza di come il lavoro impatti direttamente sull’autostima di un individuo, date la sua storia, le caratteristiche della fase di vita che sta attraversando, le sue prospettive future. È entusiasmante lavorare sull’orientamento professionale insieme ad una persona che è in fase di autodefinizione dal punto di vista lavorativo! Così come è avvincente la realizzazione di color che con coraggio si decidono per un ri-orientamento professionale – a causa di insoddisfazione personale, perdita del lavoro o riorganizzazione della propria esistenza!

Gli step di discernimento, valutazione, orientamento, sperimentazione e scelta sono fondamentali ma, dal mio punto di vista, devono sempre essere monitorati come azioni di:

· consolidamento di un’autopercezione positiva

· individuazione delle fonti di gratificazione ed affermazione

· aumento del proprio benessere ed auto-realizzazione nel corso della propria vita



E tu, ti senti ben inserito nella tua vita dal punto di vista lavorativo/professionale?

Hai mai pensato alle attività e alle relazioni lavorative come punti di identità-espressività-realizzazione?

Vuoi raccontare la tua esperienza lavorativa/professionale o porre domande /punti da approfondire ?


Eros senza ali...


Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Raffaele Bifulco


ROMA - 14 GIUGNO 2008


...ovvero quando Eros non spicca il volo!!!


C’è libertà di pensiero, libertà di costumi. C’è libertà nei rapporti, nei modi di fare, nelle abitudini. Libertà nel richiedere qualunque cosa, come di ottenere o di negare facilmente.
C’è libertà di volere e di avere. Libertà di essere in un modo e poi di non esserlo più.
C’è tanta libertà. Veramente tanta!

Eppure tutta questa libertà non sempre è sinonimo di autentica gratificazione. Tante volte l’euforia cede il passo alla disforia. Mi guardo intorno e ovunque Eros mi appare come Icaro. Il desiderio di volare precipita inesorabilmente, trascinato nel vuoto da ali troppo fragili per sostenere il “peso” della persona.

Povero Eros, sbattuto in sala pesi e sala fitness pure tre volte a settimana, sacrificato tra diete e trattamenti di bellezza, potenziato con i rimedi innovativi della medicina, conformato ai modelli patinati delle tendenze modaiole, ammodernato dai consigli e dai corsi degli esperti!


È così che Eros prende la rincorsa, si lancia…ma rimane a mezz’aria, non spicca il volo!


Il sesso parrebbe il motore di tutto e i rimandi sessuali imperversano in tv, nel marketing, in ufficio…ovunque! Tutti lo vogliono, tutti lo cercano … e intanto c’è un diffuso calo del desiderio e l’erotismo è sempre più stereotipato.

Per di più sempre più spesso, all’interno della sessualità vissuta e agita, ci si sente soli, delusi, insoddisfatti. In tanti reagiscono inventandosi “pellegrinaggi” alla ricerca di sensazioni nuove, più forti, trasgressive. Altri si spingono oltre, sperimentando situazioni sessuali varie: aumentano il “numero dei partecipanti”, ricorrono a sostanze o strumenti a supporto, tentano pratiche estreme e bondage, “provano” l’altro orientamento sessuale…

La sperimentazione è una buona strada per esplorare i confini del proprio erotismo ed affinare la sintonia con se stessi e con gli altri. Ma diventa un vicolo cieco se è usata come fine a se stessa. Sperimentare e sperimentarsi è un percorso continuo che però non va scisso da un desiderio vivo e animato, dal mettersi in gioco, dall’esserci come persona.

L’erotismo precipita, nei rapporti stabili come in quelli occasionali, quando non si ha confidenza con se stessi e capacità di guardare l’altro. Quando il corpo è vissuto in modo automatico e il piacere è ridotto alla scarica pulsionale.


Eros invece vuole volare alto!


Ci vuole passione, partecipazione, ironia, energia. Ci vuole gioco, intrigo, sorpresa, abbandono.

Eros intreccia la creatività, la fantasia e l’immaginario interno con i sensi, la pelle, la carne. Esalta la personalità individuale attraverso il calore, il movimento, il linguaggio del corpo sessuato. Connette all’altra persona attraverso un piacere condiviso, che unisce e fa impazzire, perdersi insieme ed estasiarsi.


Restituisci le ali al tuo Eros, prenditi questa libertà!


sabato 19 aprile 2008

Soddisfazione professionale

Si vive per lavorare o si lavora per vivere?

Una questione mica da poco? Intanto è la domanda che, con crescente frequenza, mi pongono figli, partner, amici e genitori, riferendo la preoccupazione - e spesso la disapprovazione! - circa lo stile con cui si affronta il lavoro oggigiorno. E intanto i fatti descrivono l’aumento di relazioni di coppia trascurate, figli affidati alle cure di baby sitter o “nonni a tempo pieno”, rapporti interpersonali sempre meno intimi, tesi invece a “creare/mantenere una rete di contatti”. Sembra questo lo scenario, sempre più diffuso, nel concorrenziale e sfidante mondo professionale.

Le considerazioni possibili sono tante e si orientano in diverse direzioni. Innanzi tutto va considerato che, negli ultimi decenni, si sono trasformate le leggi del mercato (implicazioni politiche e sociali) e hanno subito un incredibile stravolgimento i modi in cui si lavora (implicazioni scientifiche e tecnologiche). Senza entrare nel merito di questi aspetti, voglio sottolineare che ci sono ricadute estremamente significative nelle vita di tutti i giorni: si è modificata la cultura del lavoro!

Ne deriva che le persone più mature accusano il disagio di un mondo che “cambia troppo in fretta”: sentono di non capirlo e di non riuscire a stare dietro a tutte le innovazioni che comporta. Fanno difficoltà ad integrarsi e si sentono “tagliate fuori” in quanto non competitivi rispetto alla concorrenzialità rappresentata dai giovani. Questi, invece, “figli naturali” della “cultura madre”, non solo fanno parte del sistema, ma lo incarnano essi stessi: business, conquista di segmenti di mercato, strategie di retention, innovazione continua…

Si osserva come la cultura del mondo del lavoro viene talmente assorbita che entra nelle logiche di pensiero anche della vita privata!


E hai notato come, intanto, le differenze di genere sul piano lavorativo, anche le più tradizionali tra maschi e femmine, si sono incredibilmente assottigliate?


La questione è più preoccupante quando i confini tra vita professionale/vita affettiva si assottigliano e non si riconoscono differenze di atteggiamenti, vissuti, stili di pensiero e comportamenti proprie delle due dimensioni. La questione è ancora più preoccupante quando la “persona” diventa prevalentemente o esclusivamente “lavoratore”. La questione è patologica quando decade la capacità di autoregolazione, in modo consapevole ed intenzionale, rispetto ad una riorganizzazione della propria esistenza.


Ma come mai, secondo te, si sviluppa una dipendenza da lavoro?


martedì 15 aprile 2008

Dipendenza affettiva tra adulti

Che si stia in coppia o si sia single, c’è un tema veramente infelice rispetto alle relazioni d’amore: sentirsi dipendenti dall’altro!

Pare che di questi tempi “la dipendenza” sia connotata in modo esclusivamente negativo, mentre nella mente di ciascuno di noi albergano interpretazioni degenerative come “sottomissione”, “inferiorità”, “debolezza”, “passività”, “rinuncia”…

In realtà il termine “dipendenza”, nel contesto delle relazioni affettive, fa riferimento sia ad aspetti sani del funzionamento psichico, sia ad aspetti di disadattamento psicopatologico. Vanno fatte le dovute distinzioni! La spinta a stabilire legami di attaccamento è una componente funzionale della personalità. Investire in relazioni affettive connotate da affetto e accudimento, amicizia e fiducia, tenerezza e amore, contribuisce alla realizzazione di un buon adattamento psicosociale. I piccoli riconoscono di dipendere dai grandi e vi si affidano: quanto è importante rispondere facendo loro del bene!
Nelle relazioni tra adulti è fondamentale la disponibilità a prendersi cura dell'altro ma anche di saper ricevere le stesse attenzioni. Io dico spesso che, pure in questo aspetto, ci aiuta mantenere il contatto con il nostro "bambino interiore"! Quando si raggiunge una condizione di fiducia e di intimità significative, è possibile condividere e regalare all'altro i nostri lati più bisognosi, incompleti o vulnerabili. Anche qui, quanto è importante ricevere del bene!
Quando, invece, un adulto ricerca costantemente una o più figure preferenziali di riferimento, verso cui palesa atteggiamenti e comportamenti mirati ad ottenere assistenza, guida e approvazione, potremmo ipotizzare che si tratti di una forma di “dipendenza relazionale”. Tale forma di dipendenza può limitare anche gravemente la persona in quanto nega le basi della parità e della reciprocità nelle relazioni interpersonali e in quelle intime.

Sei una persona che ha un rapporto esclusivo, chiuso e totalizzante col partner, con l’amico/a o con “mammà”? Oppure sei il partner, l’amico/a o “mammà” di una persona che ti considera il suo principale/unico punto di riferimento?


In entrambi i casi cerca di renderti conto se sei coinvolto in una dinamica di dipendenza affettiva! Se questo tipo di dinamica è molto evidente, con il tempo non ci si sta più bene, non si cresce, ed il rapporto affettivo può degenerare pesantemente! Le persone che tendono alla dipendenza relazionale possono sviluppare una “dipendenza affettiva” nel rapporto di coppia, in cui il collante di fondo è l’appagamento dei bisogni psicologici ed affettivi di amore, stima, protezione, rassicurazione, cura, supporto…

Cerchiamo di capirci di più! In generale, le persone "dipendenti” tendono a non prendere decisioni da soli e adottano comportamenti che aderiscono alle aspettative altrui. Non amano assumere ruoli e responsabilità. Desiderano ricevere indicazioni, conferme e rassicurazioni, nelle decisioni importanti come nelle questioni più banali o di scarsa importanza. Gli individui dipendenti possono apparire, nelle situazioni sociali, gradevoli e gentili, remissivi e tranquilli, chiusi ed inibiti. Si adattano alle persone che sentono più vicine, trasformandole in una specie di modelli di comportamento. Nel rapporto di coppia tendono ad idealizzare il partner e possono chiudersi rispetto ad altri contatti interpersonali. Possono assorbire idee, modi di fare, interessi, opinioni, ecc. dal/la compagno/a. Ne ammirano le doti di carisma, forza, sicurezza, fascino, decisionalità - indipendentemente che siano presenti tali qualità: loro le vedono! più profondamente si sentono legati al partner per il fatto stesso che li hanno presi in considerazione – indipendentemente che abbiano stabilito un legame intimo e sincero o un rapporto superficiale e manipolativo. Tendono ad accettare qualunque cosa dal partner pur di non perderlo. Evitano i contrasti, non esprimono in modo diretto sentimenti e comportamenti aggressivi, nelle situazioni conflittuali soccombono, rinunciando all’affermazione personale o ad aspetti vari della propria soggettività. Possono anche condurre una vita apparentemente equilibrata ma finché riescono a mantenere la dipendenza affettiva da cui traggono la “forza” per funzionare adeguatamente.

Allora, ripensando al tuo rapporto di coppia, ti ritrovi in una dinamica simile? Quanto è vaga o marcata questa dipendenza affettiva? Sei tu o il tuo partner la persona che manifesta una dipendenza affettiva?

venerdì 11 aprile 2008

Relazioni affettive



…ho impiegato un po’ di tempo ad accertarmi di cosa si parli esattamente quando ci si riferisce alle relazioni affettive. Si possono intendere ambiti particolari che vanno dalla “prima storia d’amore” (classicamente la relazione madre-figlio!) ai rapporti tra adulti , focalizzandosi sui temi o dell’amore o della sessualità.

In questo contesto, con maggiore congruenza con la definizione di “relazioni affettive”, voglio riferirmi a tutti i rapporti interpersonali che sono connotati da un legame di attaccamento. La prospettiva si allarga e se ognuno di noi pensa a quante persone vuole bene (e viceversa) si riscopre in una rete di relazioni affettive.

Ma cosa “definisce” una relazione affettiva? Quando pongo questa domanda, raccolgo facilmente risposte affini tra loro: “i sentimenti di amore”, “il rispetto”, “poter contare sulla presenza dell’altro”, “aprirsi e comprendersi a vicenda”, “sentirsi uniti e stare bene insieme”…

Queste risposte sono piacevoli conferme, per me. Dimostrano le chiare idee che, almeno sul piano della conoscenza, le persone manifestano su come dovrebbero essere le relazioni affettive! Sul piano della pratica, però, può verificarsi anche altro. Le risposte sopra riportate focalizzano alcune modalità (soltanto tra quelle positive) che possono caratterizzare una relazione affettiva, indipendentemente che si tratti di un rapporto tra genitori e figli, amici o partner.

Io ritengo che vi sia una relazione affettiva tra due persone quando sussiste una connessione di interdipendenza sul piano relazionale e sul piano emotivo. In questo senso va considerato che due persone possono essere collegate da un legame di attaccamento in modo gratificante. Ma può anche accadere che la relazione sia stata positiva un tempo e che nel presente non lo sia più! Può trattarsi di un "periodo" o di una vera e propria evoluzione del rapporto. Questo è spiacevole ma ne facciamo tutti esperienza quotidianamente.

Nella vostra esperienza, quando il rapporto con il genitore, l’amico o il partner è sfibrato e le emozioni prevalenti sono di rabbia, insofferenza o avversione, ritenete di avere ancora una “relazione affettiva” con quella data persona?

Diversamente dalla precedente domanda, a questa ricevo invece risposte molto discrepanti. Molti non ne sono più così sicuri o riferiscono di non sentirsi più legati! “Legati” positivamente, aggiungerei!

Infatti, per autodifesa, tendiamo a prendere le distanze dagli altri, emotivamente e fisicamente. Nella vita vissuta capita a tutti che le relazioni su cui facciamo affidamento presentino dei lati spiacevoli (pochi o molti) che comportano confusione, noia, ansia, conflitto interiore o insicurezza.

In effetti le relazioni nascono, crescono e possono evolversi in modo diverso dalle nostre aspettative.

A volte lo avvertiamo lentamente. Ogni giorno un po’.

A volte ce ne accorgiamo improvvisamente. In un solo giorno tutto insieme.

Comunque, quando ce ne accorgiamo, qualcosa è cambiato!

Ma, secondo voi, questa consapevolezza, quando arriva, è sufficiente a farci sottrarre dalla relazione con l’altro?

Non ho più un legame con mia madre”, “Più niente tra me e mia moglie!”, “Mi sono distaccata da mia figlia”, “Non sono certo legata al mio ragazzo”, “Non c’è mai stato rapporto con mio padre”, “Proprio il mio migliore amico…mi ha deluso!”…

Continuamente si ascoltano frasi così. Un ascolto attento rivela che le persone sono arrabbiate o inquiete, dure o mortificate, chiuse o aggressive, più di quanto non diano a vedere. In verità le relazioni affettive si trasformano, in bene o in male, perché i singoli individui si evolvono con le fasi della vita, con il contesto e con le esperienze. Occorre questa consapevolezza per risparmiarsi qualche amara ferita. Quando questa manca, possono prevalere atteggiamenti rigidi, tesi a cristallizzare i rapporti. Così le relazioni affettive rischiano di diventare delle “gabbie che imprigionano” e “trappole che vincolano”. Per contro in molti reagiscono con atteggiamenti leggeri, mirati a non legarsi nei rapporti affettivi. In questo modo neanche si stabiliscono contatti autentici e nelle relazioni ci si sta “ad intermittenza”.

Le parole che ho per incoraggiare è che le relazioni affettive vanno costruite con flessibilità, come un abito cucito addosso a quattro mani con tessuti elastici che si adattano alle differenze individuali, che scendono morbidi, fanno respirare e consentono movimenti ampi.

La complicità che va sostenuta nel tempo è quella primaria di soddisfare i bisogni di appartenenza e di libertà di entrambi, di crescere insieme e per contro proprio. Di avere spazi comuni ed individuali. Di essere in contatto e di starsene in ritiro. Il tutto compreso entro una relazione capace di sostenere queste alternanze.

Rinnovare la ricerca di questi equilibri è una buona chiave di successo che consente la qualità delle relazioni e nell’individualità, come genitori, figli, amici e partner.


Qual è il tuo bisogno fondamentale? Sentire che “sei di qualcuno” o “sentirti libero”?

Quale sentimento è essenziale per te per sentirti legato ad un’altra persona?

Cosa può spezzare, in te, il legame d’affetto? E come ti allontani dalle persone…?

mercoledì 9 aprile 2008

Ansia

“Che ansia!”

Ma quando paliamo di “ansia” a cosa ci riferiamo esattamente? Il nostro parlare comune è ricco di espressioni e sinonimi che descrivono il modo in cui ci si può sentire: preoccupato, agitato, in apprensione, nervoso, inquieto, schiacciato, angosciato, spaventato, terrorizzato, in allarme, oppresso… impanicato!

Non do mai per scontato di sapere cosa prova l’altro quando mi dice “sto in ansia” in quanto le connotazioni sono svariate e, soprattutto, voglio comprendere se è un modo di dire, se c’è uno stato d’ansia “normale”, se mi trovo davanti ad una condizione di sofferenza psicofisica. Già, perché l’ansia la sperimentiamo a più livelli: coinvolge l’emotività, attiva il piano sensorio-corporeo, comprende una serie di immagini, pensieri e di dialoghi interni.

Comunemente la identifichiamo come un vissuto simile alla paura. Si tratta di una condizione psicologica caratterizzata da preoccupazione, inquietudine ed agitazione senza un motivo apparente. Sensazioni di essere “chiusi”, “pressati”, “messi alle strette”, “spinti in un angolo” da fatti, persone, circostanze, forze di cui non si ha una percezione chiara e precisa… queste le suggestioni che ritornano più frequentemente. L’etimologia stessa del termine ci indica una buona comprensione dell’ansia: dal latino significa “sentirsi preoccupati rispetto ad un evento incerto” mentre il rimando originaria dal greco corrisponde a “strangolare” o “spingere forte”.

Osservare una persona che prova ansia significa guardare lo stato tensionale che sta sperimentando. Vi è sempre un substrato di tensione che è connesso ad uno stimolo ansiogeno, che sia interno o esterno alla persona, vale a dire un accadimento imprevisto e spiacevole o una aspettativa negativa. Va precisato, tuttavia, che la tensione psicofisica in se stessa non è un problema perché può essere percepita anche positivamente. Molte persone, infatti, sono attivi nella ricerca di situazioni di tensione in quanto ne traggono piacere. Ansia e tensione vanno viste, capite e valutate caso per caso. Basti pensare al “brivido” che si prova nelle situazioni rischiose e tendenzialmente pericolose, condizione tensionale al limite tra la piacevolezza e la sgradevolezza. Vi sono persone che sono attratte dalle cosiddette “attività adrenaliniche”, in cui è predominante l’eccitazione, talvolta anche a tratti euforici! Esse traggono piacere dal fatto di sentirsi in grado di padroneggiare le proprie emozioni e capaci di “avere il controllo” della situazione.

L’ansia non è una esperienza intrinsecamente negativa. Naturalmente assolve ad una funzione protettiva quando favorisce risposte di adattamento della persona.

Quando, invece, è molto intensa diventa paralizzante, danneggia la condotta alterando la capacità di finalizzare le proprie azioni, stravolge lo stato di benessere e l’equilibrio personale. Questo meccanismo è particolarmente evidente nella cosiddetta “ansia da prestazione”, comunemente sperimentata prima di un esame o di un colloquio di selezione: nota drammaticamente a chi, tra le lenzuola, ha una difficoltà sessuale, nell’intimità di una relazione affettiva stabile o in un’avventura occasionale. Tuttavia, quando l’ansia è moderata sortisce un effetto contrario rispetto a quelli appena citati: ha la funzione di allertarci, spronarci e farci attivare in modo lucido nella condotta. Così le prestazioni ne risultano migliorate in quanto manteniamo uno stato permanente di attenzione, siamo presenti nella mente e puntuali nel comportamento. Un discreto stato tensionale, che non superi la soglia soggettiva di contenimento dell’ansia, definisce i limiti soggettivi della funzionalità/disfunzionalità dei propri stati di tensione ansiosa. Per comprendere come siamo fatti da questo punto di vista è importante osservare e conoscere gli stati fisiologici, il sistema di immagini e le reazioni comportamentali si producono in noi quando avvertiamo ansia.


martedì 8 aprile 2008

Eros e Psiche

Workshop esperienziale
condotto dal Dott. Raffaele Bifulco


L’amore si fa con la testa o con il corpo?

Meglio godere o far godere?

Cos’è la compatibilità sessuale?

Sesso e amore son due cose separate?

Tradire fa rivivere la coppia spenta?

Mi piace...ma se poi a letto non ci troviamo?

Contano la morfologia dei genitali o saperci fare?

Ma è vero che l’autoerotismo e il cybersex fanno male?

Mi devo preoccupare se mi eccito solo con le trasgressioni?

Esistono i ruoli attivi e passivi nella coppia e nel sesso?

Ci provo anche se non sono al suo livello?


Vediamo un po’… quanti di noi non si sono posti almeno tre di queste domande o non si sono ritrovati almeno una volta a tentare di darvi risposta in una conversazione a due o in gruppo?

Troppe domande sulla sessualità rimangono senza risposta anche dopo che, maschi e femmine, si è oltrepassata il mitica frontiera della “prima volta”. E poi? ...ne sappiamo di più e ci sentiamo “a posto”!

Quante volte, per noi, “avere esperienza” significa consolidare uno stile di rimorchio, darci un ruolo nell’intimità, acquisire una gamma di comportamenti sessuali, arricchire il bagaglio delle competenze con strategie segrete per migliorare la prestazione sessuale! E mentre siamo presi dalla collezione dei successi personali e delle conferme degli altri, confondiamo l'Eros con il sesso e la pratica con la qualità!

È così che presento questo workshop seminariale, un’attività che ha la finalità di indicare nuove prospettive per partecipanti che desiderano vivere con maggior pienezza il proprio Eros. Gli stimoli iniziali sono rivolti a valorizzare le esperienze personali attraverso un contatto guidato verso la propria sensorialità. Evocazioni sonore, olfattive, tattili amplificano la consapevolezza dell’esperienza somatica ed indicano i confini ove si può arrivare…ed ulteriormente esplorare.

L’Eros non è un’esperienza finita ma un percorso continuo. Non è un aspetto consolidato di sé ma una passione sempre conquistabile. Descrive la sintesi sublime tra gli scenari infiniti dell’immaginario personale e le potenzialità espressive del corpo sessuato. È qui che si svela l’intima relazione tra Eros e Psiche! Il piacere erotico maturo abbraccia la stabilità dell’Identità Sessuale, la sicurezza di un Corpo complice, lo slancio di una Mente curiosa, la fiducia verso la Relazione che genera piacere condiviso.

Quali domande possono liberare in modo sano il tuo Eros?

Quali confini ti suggerisce di esplorare Psiche?

Quale metafora descrive per te la relazione tra Eros e Psiche?

Depressione

Il termine “depressione” si riferisce all’umore, il sottofondo emotivo con cui affrontiamo la vita ogni giorno. Si tratta di un termine evidentemente inflazionato che ritengo sia spesso utilizzato in modo improprio. L’umore depresso è egodistonico, ossia che non è vissuto piacevolmente dalla persona. È caratterizzato da emozioni di tristezza, stati d’animo di angoscia, senso di vuoto e demotivazione. Le persone che ne soffrono hanno atteggiamenti di pessimismo, svalutazione delle proprie capacità e del mondo esterno. Si sentono spente, senza energia ed interessi.

Vi sono altri sintomi associati che spaziano dall’insonnia all’ipersonnia, dalla perdita all’incremento dell'appetito e del peso corporeo; vi è mancanza di volontà diffusa, apatia, tendenza a isolarsi dalla società e dagli affetti; l’anedonia è uno degli aspetti più difficili in quanto comporta l’assenza di piacere che può derivare dalle esperienze della vita, anche da quelle che, tipicamente, ne sono fonte principale come fare l’amore o mangiare; si registra un calo sensibile della stima di sé e, per contro, la presenza di sensi di colpa; sono tipiche le percezioni di stanchezza ed affaticamento eccessivo in seguito a minimo sforzo, fisico o mentale; la concentrazione, il mantenimento dell’attenzione, la ritenzione dei ricordi tendono a diminuire mentre le prestazioni comportamentali più abituali sono affrontate con sforzo, pesantezza…fino al punto di rinunciarvi.

La depressione invade come un’ombra tutti gli ambiti della vita di una persona: la dimensione sociale, affettiva, lavorativa…
A seconda della durata e della gravità la distinguiamo in “episodio depressivo” o “depressione maggiore.

Le cause che scatenano una sindrome depressiva possono essere diverse. In molti casi all’origine vi sono alterazioni chimiche a livello cerebrale, per esempio, l’abbassamento dei livelli di serotonina, un neurotrasmettitore presente nel cervello che è coinvolto nei meccanismi nervosi che riguardano il sonno, la percezione sensoriale e vari comportamenti. In molti casi di depressione si riscontra l’evidenza di predisposizione familiare. È frequente la “reazione depressiva” – la cui gravità può variare – che si manifesta in seguito ad un evento traumatico come un lutto, un incidente, un’esperienza di violenza o di abuso. Ma anche una condizione di vita logorante può provocare uno “spegnimento” della persona.

Per spiegare l'insorgenza di un episodio depressivo è importante comprendere che ciascuno di noi è un sistema complesso. Occorre avere uno sguardo altrettanto complesso, che sappia cogliere le molteplici sfumature della vulnerabilità e del potere personale, degli eventi destabilizzanti e delle esperienze edificanti della propria storia di vita.

Uno sguardo complesso è uno sguardo particolare. Allora “la depressione” si trasforma, assume un volto preciso che ha i connotati della persona. Non ci sono più sintomi ma espressioni di una illusione che si è frammentata, di un copione di vita autodistruttivo, di una rabbia repressa per anni, di un dolore lacerante e mai confessato a nessuno.

Ci sono momenti in cui la depressione la vedo tutta, nella sua inimmaginata aggressività, negli occhi di chi si trascina e mi chiede: Perché? Nell’intimità che si crea di momenti come questi, nella relazione con l’altro, il primo messaggio che trasmetto è la speranza.

lunedì 7 aprile 2008

Identità e Potere del Corpo


Workshop esperienziale
condotto dal dott. Raffaele Bifulco


Le persone arrivano a questo workshop con le idee più diverse. Il titolo suscita evocazioni tra le più disparate e tutti esprimono all’inizio un senso di attesa e curiosità. L’esperienza prevede una prima fase di rilassamento con cui inizia un viaggio esplorativo “interno”. Dal respiro alle sensazioni, dalle immagini alle emozioni...fino contattare il proprio vissuto corporeo.

Ognuno compie un percorso personale. Sin da quando eravamo piccolissimi i grandi ci “definivano”. Spesso, per qualche caratteristica somatica, siamo stati identificati come qualcun altro. In adolescenza il nostro aspetto era inevitabilmente sottoposto alle valutazioni di un gruppo. Così la necessità di difendere l’immagine a volte ci ha allontanato ancora di più dal sentirci, riconoscerci e viverci dal di dentro. Per poi proporci all’esterno con la consapevolezza di chi siamo.

Alcuni partecipanti hanno detto: “Nel corpo mi sento”, “Attraverso il corpo mi percepisco e mi esprimo”, “Io sono il mio corpo”.

Ritornare all’esperienza corporea permettere di riscoprire la propria identità. Il corpo ti racconta qual è la tua energia, cosa provi, come reagisci, cosa fare, come sei fatto, cosa avverti, come ti modifichi, dove vuoi andare…
La tua storia è inscritta nel tuo corpo, che ne conserva le tracce. La tua memoria è lì. Il suo potere ti svela le prospettive del tuo potere personale.

Siamo così condizionati a tenere il nostro “rivelatore di identità” su off e a stare accesi per recepire ogni minimo segnale che arriva dall’esterno! Quante volte ci sentiamo a nostro agio solo se riceviamo conferme dagli altri? È importante certo, ma non sano se è a totale discapito dell’ascolto di se stessi! In questi meccanismi ha radice una trappola pericolosa, ma voglio chiedervi:


Chi ha più potere nel definire la nostra Identità, la Mente o il Corpo?
È il Corpo che influenza la Mente o il contrario?
Ma soprattutto, Mente e Corpo sono aspetti diversi della nostra Identità?

martedì 1 aprile 2008

Una perla...

Chi è la Persona?

...è un essere unico e dotato di qualità, creativo e protagonista della propria esistenza. Che si muove nel mondo, in sintonia con se stesso e con gli altri, verso la l'autorealizzazione. Che è in relazione con sé e con tutto ciò che altro da se stesso, persone ed esperienze, che fanno parte della sua storia.

Cosa c'è di Prezioso?

L'essere unico

La passione

La propria storia e il proprio futuro

Un legame speciale

Il corpo che vibra

Emozionarsi ancora

Il sogno da realizzare

Esprimersi autenticamente

Scoprire ogni giorno il senso...

Come Crescere di Valore?

Il nostro percorso racconta di noi. Nel percorso già siamo, ci trasformiamo, diventiamo sempre altro e di nuovo siamo... è nel percorso di vita che cresciamo e per questo valorizzare il nostro percorso di vita, passato e futuro, significa valorizzare noi stessi.

Nel pecorso incontriamo amici e nemici, sia fuori, sia dentro di noi, che ci aiutano o ostacolano le possibilità di esprimere noi stessi e dare forma alle nostre potezialità ed aspirazioni. In realtà tutti abbiamo la capacità di superare creativamente le difficoltà insite nel nostro percorso. Per questo motivo non penso alla persona e alle sue esperienze di vita rigidamente nei temini di sano/patologico; voglio, invece, valorizzare il mondo interno e l'originalità di chi davanti, riconoscendo insieme i suoi talenti e le sue più intime aspirazioni.

La finalità ultima è di sostenere la persona nel raggiungimento del proprio benessere, inteso in senso olistico:

· intervenendo sui fattori di rischio con azioni mirate di cura e recupero del disagio personale e sociale;

· rinforzando le competenze individuali e valorizzando le risorse disponibili per ulteriori prospettive di sviluppo.

Aree di intervento e proposte

Coerentemente con tale visione, è per me essenziale distinguere e rispondere in maniera specifica alle domande e alle diversità dei miei interlocutori. In questo senso le risposte e i servizi che offro si estendono dalla cura alla promozione del benessere. Le attività sono rivolte all'individuo singolo, alla coppia, alla famiglia, ai gruppi, diversificate in quattro in macro-aree fondamentali.

Psicologia clinica e psicoterapia

L’Area comprende prima di tutto l'incontro della persona, l'accoglienza, l'ascolto, l'empatia. Tecnicamente è prevista l'analisi della domanda, la psicodiagnosi, la progettazione di intervento psicoterapeutico, i servizi di psicoterapia per coloro che esprimono un disagio personale e/o relazionale, la richiesta d'aiuto, il desiderio di star bene. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· consulenza/psicoterapia individuale;
· consulenza/psicoterapia di coppia;
· consulenza/psicoterapia familiare;
· consulenza/psicoterapia di gruppo.

Formazione e gruppi esperienziali

L’Area comprende la progettazione e l'erogazione di corsi brevi di formazione e percorsi esperienziali a termine rivolti a piccoli gruppi. I temi trattati sono mirati a rivisitare gli aspetti più significativi del prprio percorso di vita, fornendo nuove chiavi di lettura e stimolando soluzioni alternative di comportamento. Il 'gruppo' e le 'esperienze' sono leve strategiche per aumentare la consapevolezza di sè, la rivalutazione delle proprie risorse inespresse, l'attuazione di comportamenti efficaci rispetto ai propri obiettivi. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· singole
iniziative e corsi brevi di formazione;

· percorsi esperienziali in gruppo (con eventuali incontri individuali) per lo sviluppo personale e relazionale.

Sessuologia e relazioni affettive

L’Area comprende il lavoro sullo sviluppo e sul consolidamento di una sessualità sana e vissuta con sintonia e gratificazione. Si tratta indubbiamente di una componente centrale per il benessere e per l'equilibrio affettivo e relazionale dell’individuo. La sessualità umana è complessa in quanto legata all’intreccio di fenomeni biopsichici e di fattori socioculturali. Per questo l'adattamento sessuale è un processo in divenire che si estende per tutto l'arco della vita. In alcuni momenti possono emergere ritardi, incertezze e difficoltà che meritano attenzione. La proposta sessuologica è una risposta competente e mirata alla valutazione delle componenti bio-psico-sociali del comportamento sessuale in vista del miglioramento della qualità del piacere erotico e delle relazioni affettive. Le finalità possono essere di prevenzione, cura e valorizzazione del benessere dell'individuo e/o della coppia. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· diagnosi e consulenza sessuologica;
· trattamento sessuologico individuale;
· trattamento sessuologico di coppia;
· workshop esperienziali in gruppo su tematiche afferenti alla sessualità, alla affettività e alle
dinamiche relazionali di coppia.

Sviluppo e promozione del benessere

L’Area comprende una serie di iniziative che sono rivolte a coloro
che operano nel campo della salute, del benessere psicofisico, delle relazioni d’aiuto, della scuola, della comunicazione e a tutte le persone che cercano stimoli, novità, strumenti e nuove conoscenze per migliorare la qualità della propria vita. Oggi, più che in passato, è fondamentale saper riconoscere gli scenari in cui ci muoviamo e i mezzi di cui disponiamo: il piacere, il benessere e l'autorealizzazione richiedono la capacità di mettersi in contatto con se stessi e con gli altri. Attravesro la metodologia gestaltica sono proposte attività pratiche, semplici ed efficaci, finalizzate a stimolare apprendimenti e prospettive nuove e personali. Gli input raggiungono le diverse dimensioni dell’esperienza umana, quali l'immaginazione, il corpo, il pensiero, l'affettività, ecc. Le attività che afferiscono a questa area sono:

· gruppi di incontro esperienziali;
· gruppi di sensibilizzazione e divulgazione;
· workshop tematici;
· corsi di training autogeno.